Dovunque ma non

Ora dovremmo figurarci qualcosa che non si può dire. Fa parte dei sogni e dei ricordi. Solo di quelli, credo. Perché il presente è impossibile. E' impossibile trovare il presente nelle poesie. Solo leggerle, sposta il tempo...

Parla a qualcuno

e risponde, è qualcos'altro ma
risponde: nessuno lo perdonerebbe
se ritorna ghiaccio, l'essere identico a sé
che non cammina.

Lui risponde, risponde

E' dentro, deve continuare, in un ritmo
infinito, come una parola
scoperta da altre parole
deve parlare, bagnarsi in un fiume
che non è suo ma lo tiene in vita, e non ha rive.
E in questa strada di campagna
la ragazza si toglie il golf, abbassa il sedile
e non sa se sono in due, in tre, oppure è sola
ma continua, sente l'umido, muove i muscoli

"restami pure dentro"
"sei sicura?"
"sì, ti voglio dentro, ti voglio bene".

Milo De Angelis, Poesie, Mondadori, 2008.

Celentano e la questione del CHI

E qui la questione non è Sanremo. Se guardarlo o non guardarlo, se parlarne o meno, se fare i finti critici obiettivi, commentatori di garbo, o sfociare da subito in quello che tuttavia rimane ancora l'unico quadro lucido, moralmente onesto della questione: "E' tutta una profumatissima merda. Una merda parigina, una merda au de toilette". Magari con l'indispensabile aggiunta di un "(quasi) tutta". Perché personalmente è quel (quasi) che da qualche anno mi fa ancora interessare a Sanremo. Di questo (quasi) fanno parte le canzoni, il chitarrista biondo che inquadrano spessissimo (e se lo merita perché è un drago), il batterista (nell'attesa che prima o poi sbagli una virgola, ma niente) e tutta l'orchestra. Vi garantisco, nonostante l'ormone, che del (quasi) non fanno invece parte seni, scollature, gambe lucide, occhi corvini e capelli lunghissimi. Per quelli non c'è bisogno di pagare il canone, basta procurarsi un allacciamento adsl.

Dicevo: qui la questione non è Sanremo. Il nocciolo non passa dalla temperie snob di milioni di ipocriti, quelli che per garantire un futuro al proprio profilo intellettuale dichiarano che - non essendosi nemmeno informati sulle date del Festival - per sicurezza non girano su Rai 1 per l'intero mese di febbraio. (E qui divagando mi viene in mente che tutto prende avvio il giorno di San Valentino, giusto? E i social network si trasformano in un teatrino pietoso dove ancora ci si allena alla ginnastica snobbistica con cui inneschiamo il solito circolo: a stare zitto non riesco, per cui parlo, e così non faccio altro che amplificare l'oggetto della mia ironia, scherno, critica, offesa, ingiuria).
Qui la questione è Celentano. Qui la merda è Celentano. Adriano Celentano, cantante e attore. Signori, quando una cosa è imbarazzante non dovrebbe nemmeno essere commentata. E difatti non credo che userò molte parole. Il nostro spirito critico andrebbe usato laddove le questioni sono più sottili, fini, liminali. E' quando la freccia sta esattamente sulla riga tra il 9 e il 10 che l'arciere chiede l'intervento dell'arbitro, così il tennista su una palla al limite. E' quando un falso è fatto così bene da sembrare un originale che si chiama l'esperto in autenticazioni, non quando la falsificazione è evidente e conclamata. Per questo qui non si discuterà sul perché l'intervento di Adriano Celentano durante la prima serata del Festival della Canzone Italiana sia assolutamente fuori luogo. Posso solo accennare che lo è stato dal punto di vista dei contenuti ma anche sotto il profilo televisivo, telegenico, teatrale, musicale. Lo è stato nei movimenti, nelle pause, nella gestione attoriale. Brutto, ecco. Usiamo le parole come andrebbero usate. Brutto. Passato. Lontano. E leggermente pietoso (grazie anche al cammeo della signorina Canalis).
Dicevo però che non bisogna discutere sul perché. Il perché è troppo evidente. Bisogna discutere su CHI deve indignarsi delle parole di Celentano. Chi lo deve fare pubblicamente. E per pubblicamente intendo sui giornali ma anche dal parrucchiere, su facebook e twitter, a scuola e davanti alle telecamere. La questione del CHI.
Vedete, il sentimento anti-cattolico in Italia credo abbia radici profonde. Ma ormai bisogna ammettere che è arrivato a dei livelli francamente indisponenti. Non è così, non è con queste parole che si possono risolvere tutti i (tanti) lati oscuri che la Chiesa innegabilmente ha. Così si rafforza solo la controparte, che al contrario reagirà chiudendosi a testuggine, sfogando poi il proprio eccesso di difesa in posizioni massimaliste che io da queste stesse pagine ho più volte denunciato (si veda la querelle Castellucci e i post a proposito del suo spettacolo teatrale, oppure le mie piccole inchieste sul mondo marcio di Comunione e Liberazione).
Ecco la questione del CHI. Troppo facile stare a guardare e ascoltare le reazioni di chi è stato attaccato. Non la Chiesa, non la stampa cattolica, non I PRETI (come li definisce sprezzantemente Celentano in un eccesso di qualunquismo da far rabbrividire - e mi riferisco al momento in cui cerca la telecamera giusta per parlarci direttamente, con I PRETI) devono urlare che Celentano ha esagerato. Lo dobbiamo fare noi che in chiesa non ci andiamo e che contro la chiesa abbiamo speso fin troppe parole maligne. Lo facciano gli addetti alla cultura, lo facciano anche i radical chic, se vogliono. OBIETTIVITA'. Uscire dagli schieramenti. E invece no, non succede. Su internet leggo commenti contro Celentano solo da chi mi aspettavo. E dall'altra parte lodi sperticate, ancora da chi mi aspettavo lo facesse. I primi vanno in chiesa, i secondi no. Quanta stanchezza, quanta arretratezza nei soliti atteggiamenti dell'Uomo.
Celentano parla con una retorica chilometrica, fa della demagogia spicciola. Critica l'estrema politicizzazione del clero e poi cita Don Gallo, persona che apprezzo e stimo (fa parte della "mia" Genova, quella che salvo dall'estinzione) ma che è innegabile, di politica ne ha fatta tanta (quindi - badate - giudico l'incoerenza, non il concetto). Menziona i dipendenti FS che protestano alla Stazione Centrale di Milano, ma lo fa dall'alto dei suoi 300 mila euro di compenso a serata (che solo DOPO - e sottolineo DOPO - tutte le polemiche si sono miracolosamente tramutati in faraonici fondi di beneficenza; Adriano, però... almeno tieni qualcosa per te, pagati le spese d'albergo!). Ecco CHI deve prendersela con lui: proprio quei dipendenti che hanno perso il lavoro! Sono loro che devono scandalizzarsi invece di gioire, come sono certo avranno fatto, per essere stati menzionati in diretta Tv davanti a 11 milioni di persone. Il sistema, ecco. Il potere del sistema.

E poi le mani. Tagliate le mani a chi applaudiva dalle poltroncine rosse dell'Ariston, con la pelliccia che aspettava impaziente nel guardaroba. E però peccato... peccato applaudissero anche le mani degli orchestrali.

Sentieri Notturni

Emozioni nella notte, su sentieri ghiacciati sciolti dalla musica e non dal sale. Con Sergio Mancinelli, sui suoi "Sentieri Notturni" in onda ogni notte alle 00.00 su Radio Capital, la voce di Demetrio Stratos è tornata a cantare. Ma non solo. Le onde portano anche alla Grecia presente nel sangue di Cat Stevens e all'Irlanda di Rory Gallagher.

E per me il piacere di tornare a parlare di un libro scritto due anni fa, quasi tre, e che volente o nolente mi ha tenuto stretto a una delle voci più grandi di sempre...

Riascolta "Sentieri Notturni" del 8/2/2012 cliccando qui.


Stratos


Martedì 7 febbraio, ore 00.00, Radio Capital (o www.capital.it). Avrò il piacere di essere ospite telefonico all'interno dei Sentieri Notturni dell'amico Sergio Mancinelli. Insieme torneremo ad aprire le pagine di Demetrio Stratos, gioia e rivoluzione di una voce a due anni di distanza dalla sua uscita. Un ricordo notturno per Demetrio, unito alle canzoni più belle della sua prima parte di carriera.

La puntata sarà riascoltabile già dal giorno dopo all'indirizzo: http://www.capital.it/capital/radio/programmi/Sentieri-Notturni/3727371

Provviste #13


"E allora quale è mai la ragione per cui lo amo? Semplicemente perché è maschio, credo. Sotto sotto è un essere buono e per questo lo amo, ma lo amerei anche se non lo fosse. Se mi picchiasse, se mi maltrattasse, io continuerei ad amarlo. Lo so. E' questione di sesso, credo".

Mark Twain, Il diario di Eva, Feltrinelli, 2009.

La Sicilia qui

Nella vita hanno successo i graniti. Quei solidi pezzi di granito sicuri di sé, delle proprio idee, dei gusti che sfoggiano, della musica che fanno ascoltare, della loro famiglia e dei paesi che hanno visitato. S'era detto che solo gli stupidi non cambiano mai idea. Ma chi ha pronunciato queste parole ha fatto una brutta fine.
Io sono come quella pasta fucsia poco più molle del didò, quella cosa maleodorante su cui da piccolo decine di dentisti mi hanno chiesto di lasciare il calco delle mie arcate dentali. Se qualcosa mi morde, io assumo la sua forma.
Non voglio più scrivere. Voglio solo fare il teatro. Il teatro vince, sopra il cinema, sopra un quadro, sopra il più bello dei libri. Mi convinco di questo, in macchina, dopo aver visto Antropolaroid. Il mattino dopo già non me lo ricordo, però i segni sono lì, i segni dei denti, la cagnata. Tornerò...
E torno a vederlo. Ripenso quelle cose. Le scorderò ancora. Eppure ci sono tornato, e ci tornerei ancora se questo non sancisse il mio ricovero in un'ospedale psichiatrico o una denuncia per stalking.

Cosa ci fa la Sicilia qui a Milano? Qui dove il termometro sta a -4, la neve è ghiacciata, le strade deserte? E i campi di grano, lo zibibbo, i tavoli dove si gioca a carte, i cimiteri, i grandi balli, le fisarmoniche?
Come facciamo a capire, a capirci, quando la lingua è diversa e il secolo pure?

Miracoli del teatro. Ovvero aprire un vecchio baule di fotografie, toccarle, chiedere "mamma, e questo signore coi baffi chi era?". E' quello che deve aver fatto Tindaro Granata nello scrivere, mettere in scena e recitare Antropolaroid. Al Teatro dell'Elfo di Milano fino a domenica 5 febbraio. Un regalo che vi potreste benissimo fare. E se, come probabile, vi dovessero dire che i posti sono esauriti, voi non credeteci e insistete. Chiedete una sedia, un cuscino, un foglio di giornale per pararvi il sedere dai pavimenti bagnati dei giorni di neve. Ma vedete di esserci. Fatevi guardare in faccia.

Qui, info e spiegazioni meno deliranti sullo spettacolo: http://www.elfo.org/stagioni/20112012/antropolaroid.html

Provviste #12

"Non pensi a quello che deve fare, non rifletta sull'esecuzione" mi gridava. "Il colpo fila liscio solo se sorprende il tiratore stesso. Deve essere come se la corda tagliasse improvvisamente il pollice che la trattiene. Lei non deve dunque aprire la mano destra con intenzione!"

Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l'arco, Adelphi, 1975