Provviste #16 - La notte inglese


Provviste. Sono quelle che continuo a proporvi di tanto in tanto su queste schermate. Dunque le provviste per permettere alla testa di andare avanti a fare bene il suo lavoro. Le provviste sono i libri. Non torno mai sul luogo del delitto, prediligo le diete variegate, persino sconclusionate: non amo, in definitiva, rileggere quel che ho già letto. Non lo faccio quasi mai. Due anni e mezzo fa, su un treno normalmente lento che da Firenze mi trasportava a Perugia, avevo letto - quando era ancora una bozza - questo romanzo dell'amico Arturo Cattaneo dopo averlo stampato la sera prima. Erano ancora cose nel cassetto, come si dice... Cose preziose, con un futuro, come mi ero prodigato di far presente ad Arturo di ritorno da quella trasferta umbra.
Eccolo ora quel libro, uscito dal cassetto e in bella vista nelle librerie d'Italia, pubblicato da Mondadori. Scelgo di rileggerlo: so per certo che non sarà tutto uguale, sono state aggiunte parti, altrove è stato rivisto. Mi accorgo persino di non ricordare tutto della trama principale, e allora sono curioso e felice di non sapere, di poter andare avanti con lo stesso desiderio della prima volta. Fuori è primavera, in casa non ancora. Dio benedica le pagine tatuate dall'inchiostro! Il piacere di leggere Arturo Cattaneo lo conosce bene. Solo chi ama così tanto la letteratura sa quanto sale mettere quella volta che a cucinare tocca a lui. Ce n'eravamo già accorti - del suo gusto dico - con Ci vediamo a settembre (Sedizioni, 2010). Ora con La notte inglese si sposta dal fuoco caldo e familiare dei ricordi a quello imprevedibile della fiction, il romanzo vero, autentico, della trama cucita e intrecciata con la giusta spontaneità.
Tutto in una notte, dentro i muri spessi di un college inglese, custode di segreti, culti della personalità, cultura sfoggiata, amicizie indistinte, cerimoniali, tradizione. Riccardo, milanese volato a Cambridge per i suoi studi umanistici, viene investito dal vigore destabilizzante della cena di gala, il Society Night Dinner. Una notte tesa, la cui trama convulsa ha in sé qualcosa di iniziatico, di impercettibilmente sacro e sacrilego allo stesso tempo: un ragazzo di vent'anni che scopre di poter amare, di poter vincere le proprie paure, di poter smettere di recitare.
Una storia intima che è primo violino dentro un'orchestra di altre vite, altri linguaggi, altre preferenze in fatto di sesso: il college abbraccia in sé le mille voci di una generazione, cerca di uniformarle attraverso il suo vocabolario, i suoi toni conformistici, le sue regole mai scritte ma comunque inscalfibili... cerca, ma non ci riesce fino in fondo, come se il suo sforzo sortisse l'effetto contrario: accentuare i caratteri, spingerli all'esterno, renderli visibili. Succede in poche ore grazie a un crescere di sherry, vino rosso, porto, super alcolici e alla loro forza disinibente.
Poi, il latte della colazione. "Per gli altri non è cambiato nulla. E per me, cos'è cambiato? Tutto, ovviamente, ma in modo meno esplosivo, eclatante, di quanto avrei mai immaginato" confessa a se stesso Riccardo, da solo di fronte a una fetta di pane imburrato. E io, qui seduto a leggere di lui, ripenso al mattino dopo aver fatto l'amore per la prima volta. Ripenso a tutto quello che c'era stato prima e a tutto quello che c'è stato poi. Riccardo non lo sa ancora, ma a me che chiudo il libro la gola si è strozzata, a little bit.

Arturo Cattaneo, La notte inglese, Mondadori, 2012.

Una frase: Forse però è il destino delle parole, arrivare a labbra diverse da quelle per cui sono state pensate.

Musica a testa bassa


Polistrumentista di strumenti a fiato, musicologo e musicoterapeuta. Gianfranco De Franco ha suonato per tanti e dovunque. Soprattutto in teatro. Ha composto le musiche per "Dissonorata" e "La Borto", i monologhi pluripremiati di Saverio La Ruina. "... cu a capu vasciata a cuntà i petri pi nterra" (con la testa bassa contando le pietre per terra) recita proprio Saverio. E da qui il titolo dell'album di De Franco, Cu a capu vasciata. Le musiche che prima erano discrete, ora diventano protagoniste di un album che qualcuno ha giustamente definito sensoriale. La parola non è sparita, c'è ancora e si inserisce come un racconto tormentato e delicato insieme, una parola che racconta l'anima delle donne, il disagio sociale e la rassegnazione. I recitati tornano sulle figure che quei testi di teatro hanno reso celebri: così la musica si fa narrativa e le parole partitura. Quanta tradizione, quella del clarinetto... e quante cose nuove può ancora descrivere uno strumento così. Gianfranco De Franco propone un disco che sfida a un ascolto partecipato. Se non ci sei dentro, in questo disco, lui non suona.

Gianfranco De Franco, Cu a capu vasciata, Mk Records, 2012.