Per contrasto

Percepiamo solo la diversità, credetemi. I nostri occhi, qualsiasi tipo di occhi, vedono per contrasto. E' una legge fisica scontata. Un puntino rosso su una superficie rossa non si riesce a scorgere. Gli arcieri, quando tirano alle sagome di animali, muniscono le loro aste di alette e cocca di colore scuro così che - senza dare punti di riferimento - non facilitino l'avversario che tirerà dopo di loro. La fotografia è basata sul concetto di contrasto. Luce e ombra danno vita agli oggetti, alla realtà tutta. La pellicola si impressiona in negativo. Poi ci sono i nostri occhi del cuore, quelli più facili a cadere dentro le emozioni, dentro le paure, le situazioni avverse oppure ignote. Questa sera leggo un racconto di Natale. Triste, commovente, nostalgico e soprattutto vero nella sua povera ma così orgogliosa realtà. Sarei capace io di vivere un Natale sotto le bombe? Sopporterei il freddo, l'indigenza, la semplicità obbligata, non scelta, e che perciò si chiama miseria? La sobrietà imposta dalla vita, non un gesto ipocrita di rinuncia.
Sapete, l'ansia giunge quando ragioniamo attorno ai nostri limiti. Eppure è la mancanza a definirci. Così come l'assenza di luce - l'ombra - crea le forme, delinea i corpi, decide la profondità dei luoghi, così ciò che si oppone alla nostra luce (il nostro modo di pensare, di vivere, di guardare gli altri) decide la profondità del nostro spazio, la tridimensionalità del nostro esistere.
La mia casa è calda, lavo i denti, il piumone mi aspetta. Penso a quello che non riuscirei a sopportare. Lei bambina dormiva insieme a una vecchia che voleva morire, intanto sognava le caramelle. Ma i suoi pensieri non erano lì. Anche la sua vita di bimba bombardata era pensata per contrasto. Lei pensava a me, a quello che tanto avrebbe desiderato: una casa calda, lavarsi i denti, scivolare sotto un piumone.
Pensare a sé stessi nell'esatta posizione in cui ci si trova non crea contrasto. E' un meta-pensiero, una tautologia che non disegna, vita che non esiste. Io, qui e adesso, pensando a lei. Io sì che la vedo. Lì, così lontana dalle mie priorità, dal Natale della mia vita. Io adesso vedo per lei. Lei, al futuro, vedeva, sognava per me.
Auguri a entrambi.

Provviste # 11


"Non è più la Francia. E' l'Europa, l'Asia, l'Africa, l'America. E' il bianco, il nero, il rosso e il giallo. Ognuno porta la propria patria sulle suole delle scarpe e, passo dopo passo, la conduce a Marsiglia. Ma qui tutte le terre sono benedette dallo stesso sole, vicino, caldissimo, luminosissimo, e su tutti i popoli si inarca la medesima porcellana azzurra del cielo. Sulla sua ampia schiena oscillante il mare porta qui tutti quanti: ognuno aveva una terra per sé, ora hanno tutti un unico mare".

Joseph Roth, Le città bianche, Adelphi, 1987.

Provviste # 10


"Sembrava una cosa viva e violata, un reliquiario impazzito. Da uno dei fogli di giornale, un ritratto in bianco e nero di Charles Manson fissava la stanza con aria ebete, il corpo prostrato su un fianco, stretto tra due poliziotti. C'erano le fotografie di Bobby, Susan, Leslie, Tex, Patricia - le ragazze sorridevano timide ed estatiche, i ragazzi fissavano l'obiettivo con sguardi pensosi, intensi".

Zachary Lazar, Sway, Einaudi, 2008.

Diverrà disagio

Le accise
alla delusione
la tassa sul
rancore.

Saremo poveri di spazio, idee
diverrà disagio
guardare attraverso;
non si crederà
agli alberi che cadono
producono tonfi;
non crederemo alle
nuvole, alle onde
abbatteremo volatili e lepri
non avremo fede,
paura
di ciò che dove vuole va,
quel che vuole dice,
ed è ascoltato.
La libertà.

I sorrisi saranno di
quelle perle
che si sciolgono nella vasca da bagno.
Saranno idrolitina.
Faremo gli idromassaggi, con la felicità.

E sentiremo il radiogiornale
con gli occhi
toccare
fischiare dietro
a sederi sporchi
poltrone sfoderate
zuccheri sfigati.
Dolcezza.

(myself - 7/12/2011)

Steven

"Ian rientrò a casa e disse che quella sera avrebbe commesso il suo omicidio perfetto. Mi spiegò di prendere il furgone e mettermi a girare per il quartiere, mentre lui mi avrebbe seguita in motocicletta, pronto a farmi i fari non appena incrociavamo quella che secondo lui poteva essere la vittima giusta. Io a quel punto mi sarei dovuta fermare e offrirle un passaggio..."

Ispirato dalla canzone Suffer Little Children degli Smiths, ecco il racconto di dicembre per la mia rubrica Musica&Vene. In edicola con Il Mucchio.

Mi si spenga!

Una di queste sere, arrampicato sulla stessa sedia che di giorno mi ospita per studiare i libri di letteratura, leggevo un romanzo pieno di personaggi (ci sono di mezzo ancora i Rolling Stones, in questo periodo mi sono infilato nel tunnel). Uno di questi - è una sera d'estate, anno 1969 - rientra a casa in piena notte, accende la televisione e si mette a fissare lo schermo:

Accese il televisore, ben sapendo che a quell'ora non c'era altro da vedere eccetto l'elettricità statica dei canali dormienti.

Bravo scrittore. Non era facile rendere l'idea. Ho dovuto sottolineare questa frase con il mio lapis a doppia punta (rossa e arancione): di solito sottolineo quelle frasi che sono sicuro a me non uscirebbero mai. Ora, non devono essere per forza espressioni magnifiche o laconicamente poetiche, illuminanti sul senso del nostro esistere, ma solo passi con parole fuori dal mio vocabolario istintuale, ossia quel dizionario mentale in cui sono contenuti tutti i termini che ci vengono così, subito, spontanei, senza pensarci troppo. C'è un limite temporale che mi sento di stimare in 30 secondi: se si va oltre questo lasso di tempo significa che la parola che cercavamo non fa parte del nostro vocabolario istintuale, ma abita in archivi più complessi del nostro carico lessicale, faldoni ora più vicini ora più lontani che ci obbligano a fermarci, riflettere, interrompere lo scorrere dei testi. Se poi cediamo alla tentazione del pronto soccorso esterno (io per primo abuso dei "sinonimi e contrari" sul web), diamoci pure per sconfitti... Bene, mai mi sarebbe uscito quel "elettricità statica dei canali dormienti". Ha tutta la concreta poetica del linguaggio tecnico, della realtà così come la conosciamo ma che a volte non ci riesce di disegnare, descrivere in poche ed efficaci parole.
Poi mi chiedo cosa abbia realmente visto quel signore. Cioè, sullo schermo sarà comparso il grigio elettrico della Tv quando non ha l'antenna inserita, oppure il mosaico indecifrabile di colori e forme? Anche i suoni cambiano: nel primo caso è uno sfrigolare da uovo in padella con troppo olio, il secondo una specie di richiamo per cani, un fischio ottuso e invadente. Protendo per la seconda ipotesi, anche perché tecnicamente penso sia proprio quello il segnale delle trasmissioni interrotte. Una cosa con cui non avremmo più l'assoluta confidenza se non fosse per Rai 3. Che bello, quando a notte tardissima (l'ora precisa non puoi conoscerla perché se accendi la Tv a quell'ora vuol dire che sei appena rientrato a casa ubriaco, hai acceso l'80% delle luci della casa e stai addentando un improvvisato panino al crudo) Rai 3 spegne il segnale, interrompe le trasmissioni, e tu (appunto, stonato) stai a fissare lo schermo con la stessa concentrazione utile a una finale dei mondiali di calcio o a un episodio di Guerre Stellari. Probabile che anche questa sia bellezza nostalgica da retromania (malattia pericolosa, ne soffro dalla nascita), eppure il fatto che ci sia ancora un canale televisivo che a una certa ora si spegne mi consola un pò. Voglio dire, la Tv può essere messa ancora a tacere. E poi significa che un canale come Rai 3 non ha abbastanza contenuti da rimanere acceso 24 ore su 24: benedizione! Oppure non conviene all'azienda, non lo so, però mi soddisfa. Come un sontuoso rispetto per il tempo (cose da anni '50), per il ciclo della vita. Ci sono momenti per questo, e momenti per quello. "Qualcuno si spenga, qualcuno mi spenga, andate a dormire per carità!".