Dicembre, natale

7 dicembre 2012.

Eccola. Prima neve. Il piccolo prodigio che accade proprio qui, dove abito.

Siamo rintanati in cucina, i caloriferi sono spenti e la casa piano piano si raffredda come un corpo morto, diventa stretta, rimpicciolisce, è ridotta a una sola cucina, qui, dove ci siamo rifugiati. Il piano terra è immobile nel gelo, non ci andiamo più. E' una piccola scomodità che abbraccio, poiché mi è concesso il privilegio di provare qualcosa che è passato oramai: un dicembre nevoso, il giorno di Sant'Ambrogio, il freddo nelle case, le preoccupazioni. Che privilegio saprebbero essere, le preoccupazioni, se ci fosse anche il silenzio...

L'ho vista da lontano, come un fumo che scende dalle montagne. L'orizzonte si fa opaco, l'aria carica. Qualcuno laggiù l'avrà già scritto, l'avrà detto al compagno, che nevica.

Io l'ho detto a mia madre. Siamo soli, lei ed io, qui. Prima le ho fatto un massaggio, mentre ancora era seduta a tavola. Sentivo le spalline del suo reggipetto e mi è venuto da pensare a tutte le donne, alle loro spalle, con quel segno sulla pelle, il solco del ferretto, il disegno del pizzo. Fardello di sempre, il seno, peso di una maternità che è di tutte. Ogni donna, indistintamente, vive la preoccupazione di essere madre. Ce l'ha sul petto. Anche lei, a cui non riesco a credere.

I fiocchi non cadono, risalgono con la corrente, sono come foglie che la terra non è pronta ad accogliere.

Da questa finestra sono il tuo loggionista, pianura che mi stai sotto. Il tuo spettacolo - alberi che piano piano cadono, antenne che s'alzano insieme ai condomini, monti che imbiancano da lontano - non mi è mai costato nulla, se non il rimanere.

Natale che ha un peso, il destino di arrivare. 

Go we there

La casa editrice Ibiskos ha da poco pubblicato la raccolta di poesie Specchio-Maschere in cui hanno trovato posto i testi vincitori dell'edizione 2011 del Concorso Internazionale di Poesia Castello di Duino - Trieste, il più importante al mondo a livello giovanile secondo l'UNESCO. 
E' bellissimo trovarci anche la mia Andiamo là (che ha poi trovato posto nel mio Guerre bianche). Il libro è in doppia lingua italiano-inglese. Immaginatevi la sorpresa di vedersi tradotti per la prima volta in un'altra lingua... Ecco qua:



Go we there

The breeze comes from the sea.

You limped, once...

And the sea remains far away.
Salt becomes snow on flooded fields.
It finally falls, next to this gate.
Scent of jacaranda, and vestments.

Once in front there was the leech seller,
with a photo of John Lennon on display.
I used to wonder what healed the most...

And a jealous lad comes to squeeze your hand.
There are men like this in all cities.

It was the house of a Monsignor and his sisters, once.
I used to wonder who suffered the most...

Dying in a dying season is to bring springtime.

At school you used to break pencils and thrown them out of the window.
I used to wonder what genius you where...

Tonight it'll snow the sea.

You were a fish, once...

(english translation by Henry Renato Albert)


Andiamo là

La brezza viene dal mare.

Zoppicavi, prima…

E il mare rimane lontano.
Il sale diventa neve sopra i campi alluvionati.
Infine cade, a fianco di questo cancello.
Profumo di jacaranda, e paramenti.

Una volta c’era di fronte il venditore di sanguisughe,
con una foto di John Lennon in vetrina.
Mi chiedevo cosa guarisse di più…

E viene un ragazzo geloso a stringerti la mano.
Ci sono uomini così in tutte le città.

Era la casa di un monsignore e delle sue sorelle, una volta.
Mi chiedevo chi soffrisse di più…

Morire in una stagione che muore è portare primavera.

A scuola spezzavi le matite e le gettavi dalla finestra.
Mi chiedevo che genio fossi…

Stanotte nevicherà il mare.

Eri un pesce, una volta…

Nelle librerie: "Storia di un minuto"

pag. 128, euro 16,00
Esce oggi 25 ottobre in tutte le librerie e webstore Storia di un minuto, il primo disco di PFM (edizioni Aereostella), un libro scritto da me e dal giornalista musicale padovano Renzo Stefanel, nato da un'idea di Franco Zanetti.
Un'opera dalla storia travagliata, su cui abbiamo lavorato per anni, e che ci ha portato a gestire un materiale di informazioni e interviste enorme. Ora esce una piccola ma densa opera che dice e racconta tutto dei primi anni di vita di quella band che, anche quando ancora non si chiamava Premiata Forneria Marconi, aveva già iniziato a scardinare il rock italiano con la propria musica. 
Oltre, ovviamente, alla viva voce dei protagonisti, abbiamo approfittato delle testimonianze inedite di Mogol, Claudio Fabi, Marco Damiani, Antonio Coni, Mara Maionchi e tanti altri... 

Come nacque la band di rock tricolore più famosa al mondo? E in che modo, con il suo disco d’esordio, riuscì nell’impresa di essere il primo gruppo italiano a piazzarsi in cima alle classifiche di vendita? E ancora: da dove nasce la celebre Impressioni di settembre? Quando prende forma La carrozza di Hans? A quarant’anni di distanza dalla pubblicazione, ecco qui raccontate dalla viva voce dei protagonisti la genesi e la realizzazione dell’album “epocale” del progressive italiano: Storia di un minuto della Premiata Forneria MarconiOvvero come cinque musicisti dalla vista lunga hanno saputo sfidare ogni convenzione musicale per proiettare il rock italiano negli “immaginifici” anni Settanta...

Guerre bianche, Meda


Le Guerre bianche arrivano anche a Meda. Sabato 6 ottobre, ore 17.00, presso la Medateca (ovvero la nuova biblioteca della città, inaugurata qualche mese fa) Gianfranco De Franco e io daremo vita a un altro reading sonoro delle poesie contenute nel libro...

Intanto scopro questo articolo apparso sul quotidiano "Libertà" di Piacenza lo scorso 13 settembre. Ve ne propongo, velocissima, la lettura.


Guerre bianche, Milano

Il "12 Maggio Temporary location" di Via Abamonti 2
SPAZIO "12 MAGGIO" SALUTA E OFFRE COME EVENTO DI CHIUSURA UN READING CON MUSICA! SEGUE COCKTAIL

Venerdì 28 settembre, ore 19, Via Abamonti 2, Milano



Antonio Oleari presenta il suo primo volume di liriche (Guerre bianche, pubblicato da Liberodiscrivere) e lo fa con un emozionante reading per pochi, perché la poesia non vuole schiamazzi, ma sussurri e ombre. Non è solo. Al suo fianco, appunto, l’ombra sonora di Gianfranco De Franco, fiatista calabrese armato di flauti, clarini, sax ma anche metallofoni, sistri e varia chincaglieria da filtrare attraverso un microfono ed una caleidoscopica pedaliera foriera di mirabolanti effetti. Ehi, ma questo qui fa suonare pure la carta…

Il temporale in tempo reale

Si addensava nel cielo, la fine del mondo. Mentre io stendevo le ginocchia sul divano della cucina, attaccando un cornetto, l’occhio a una gara di formula uno. Si fondevano grumi di nuvole con la cattiveria di pellegrini stanchi e spossati per il troppo tempo passato a camminare. Era un amalgama di brutture che sceglievano il lembo di terra sopra cui sfogarsi. Penultima domenica di luglio, la fine dei giorni. Quando a metà pomeriggio s’entrava nelle chiese a battezzare, oppure in auto si raggiungevano parenti in provincia.

Di quella forza della natura comparvero i venti, per primi. Soffiate repentine che deviavano le frecce di quelli impegnati al bersaglio, oppure aquiloni dei bimbi sulle sponde dei laghi. Le punte temperate dei salici, degli ulivi, di vecchie querce e giovani cipressi. I gerani sanguinavano petali rossi e maturi, cadevano dai balconi e restavano nell’aria come in una processione di vergini greche. Io leccavo.

Fotografie sulle bacheche dei network sociali. Immagini rubate dalle finestre dei bagni, entusiastiche previsioni, comparivano. Ci ucciderà, quell’occhio grigio e marcio come acqua di fogna. Una cella di temporale. Nessuno osò uscire di casa a salvare il vaso del rosmarino, della salvia e del basilico, amara sorte di tutti quei futuri condimenti per pasta. Attesa.

Un brusio di preghiere s’alzava. Un brusio intellettuale, con poco cuore. Più che preghiere sembravano dichiarazioni dei redditi, bilanci sul dare e avere di anime buone. Dio, come l’ufficio delle imposte, come un finanziere in alta uniforme, tassava le grigliate destinate a rimanere a metà, metteva il veto ai tuffi in piscina, alle gare in bicicletta, ai gelati in piazza. Dio vendicatore d’estate abbassava la corrente, rimandava tutti a casa. L’angelo sterminatore avrebbe salvato solo i pigri, gli alzati tardi dopo una sbronza, i maniaci di sesso. Avrebbe salvato anche me, che ero al riparo, abbassavo le persiane, chiudevo porte per non fare corrente. Leggevo Henry Miller, annegavo al Tropico del cancro con una sigaretta e un goccio d’acqua.

Il temporale no. Di domenica. D’estate. E invece sì. I piani non sono più piani, quando si scombussolavano. Diventavano gole disseminate d’aculei appuntiti e taglienti sopra cui avrebbero gocciolato le speranze d’una settimana buona, al lavoro. Ci si metteva al riparo. Ma niente si riparava, niente s’aggiustava. Tutto si rompeva come un giocattolo nuovo. Un giocattolo, la spensieratezza dei domenicanti. Io osservavo da dietro la tenda, tifavo per le vittime.

Non s’era visto mai, ciò che stava oscurando il cielo. Dalla cima d’una collina le ultime telefonate. "Non tornerò". Uomini facevano i parafulmini con le antenne nascoste dei loro telefoni cellulari. E l’apocalisse soffiava le note di un flauto irlandese.

"No, adesso no". Il pittore malediceva la fine fatta di pioggia. Avrebbe preferito il fuoco, per dire addio alle sue creazioni. Con le gocce che avrebbero sciolto i suoi acquerelli riducendoli a un tutt’uno senza forme e senza disegno. Piangevano i fotografi impegnati nell’unico matrimonio di domenica, i bambini negli oratori, sui campi di calcio.

Gli uccelli fuggivano. Le cornacchie toglievano la corona del volatile più cattivo. La rivincita dei pappagallini in gabbia, nelle dimore delle signore anziane, salve anche loro, messe al sicuro dai dolori alle anche che non le facevano uscire da mesi.

Poi il vento cessò. Il vuoto d’aria prima del boato. Finivo il capitolo, restavo solo. Un enorme gocciolone si staccò dal cielo, colpì il mio gatto. Fummo salvi per un’altra settimana...

Concorso letterario "Musica&Vene"

Promosso dal "Meeting delle Etichette Indipendenti - Supersound" in collaborazione con "Il Mucchio", il premio letterario "Musica&Vene" si pone come obiettivo quello di ispirare nei giovani scrittori quelle vene letterarie e narrative che hanno a che fare con la musica.
I racconti di questa prima edizione dovranno riguardare il seguente tema: "Musiche di frontiera. L'Italia e le sue tante province".
Ed ecco il bando completo:

Regolamento intero:

Art.1 - Possono partecipare al concorso tutti i cittadini che abbiano compiuto il 14esimo anno di età, ovunque residenti.

Art.2 - I partecipanti potranno inviare scritti di loro produzione, inediti, in lingua italiana, caratterizzati dall’attinenza al seguente tema: “Musiche di frontiera. L’Italia e le sue province, le sue storie, i suoi personaggi: orizzonti stretti, chiusi, da cui spesso vogliamo scappare, oppure posti dove vogliamo rimanere, accettando la sfida. L’Italia e le sue tante province, le sue tante musiche.”


Art.3 - Si potrà partecipare con un solo racconto. I limiti redazionali cui attenersi sono: max 5 cartelle (ogni cartella: 2.000 battute circa inclusi gli spazi).

Art.4 - Le opere andranno inviate via mail all’indirizzo segreteria@materialimusicali.it. In un allegato a parte dovranno essere apposte le generalità dell'autore: nome e cognome, indirizzo completo, numero di telefono, età, titolo dell'opera, firma. Inoltre la dichiarazione firmata: "Autorizzo il trattamento dei dati ai fini istituzionali (L. 675/1996)". Nell’oggetto della mail dovrà essere specificato: Concorso Musica & Vene. L’organizzazione non si assume alcuna responsabilità per mancata ricezione del materiale.
La partecipazione al Concorso è gratuita.

Le opere vanno inviate entro e non oltre il 30 agosto 2012.

Art. 5 - Le opere saranno valutate, a giudizio insindacabile ed inappellabile, da una Giuria qualificata formata da operatori del settore musicale e giornalisti.

Art. 6 - La Giuria sceglierà un'opera vincitrice e una rosa di opere segnalate.
Le opere vincitrici e quelle segnalate saranno presentate pubblicamente in occasione di Supersound che si svolgerà a Faenza dal 28 al 30 settembre 2012.
Il racconto vincitore sarà pubblicato sul mensile di musica e cultura rock Il Mucchio Selvaggio. La Giuria si riserva la facoltà, ove lo ritenga opportuno, di non assegnare premi.

Art. 7 - I riconoscimenti dovranno essere ritirati personalmente dai vincitori, che saranno avvisati in tempo utile. In casi eccezionali potranno essere sostituite da persone da loro designate.

Art. 8 - La partecipazione al concorso implica l'accettazione del presente regolamento.

Per ulteriori informazioni: www.meiweb.it - mei@materialimusicali.it



Il Preoccuparto

Il Preoccuparto era una persona ansiosa, piena di complessi.
Aveva un timore atavico della nascita.
Da piccolissimo, non voleva venire al mondo.
Voleva restare nel pancione della mamma che povera, al dodicesimo mese, chiamò il fabbro per scassinare la serratura che lui aveva chiuso dall'interno.
Poi è diventato bambino, ma alla scuola preferiva la cameretta.
I genitori, molto abbienti, pagarono una maestra privata.
Non giocava con nessuno il poveretto, costretto a lasciare tutti i giochi nel cassetto.
Poi vennero i giochi moderni, i tempi moderni, e il Preoccuparto si iscrisse all'Università On-line, pur di restare nel suo giardinetto bello fresco.
Si sposò per corrispondenza, a 38 anni, accontentandosi di una foto della sua futura sposa.
Simpatica, la moglie, si disse una volta che lei arrivò dal Perù per le nozze.
La prima notte lei gli disse di venire, ma lui non voleva proprio lasciare il suo letto; e così per qualche anno, finché il Preoccuparto mise del seme in una boccetta e le propose una famiglia.
Dopo nove mesi di piccole paure, anche quella nascita angosciava il Preoccuparto che, sedotta un'infermiera, abbandonò il corridoio di neonatologia e imboccò con la sua moto la strada per la spiaggia.
Non lo ritrovarono più per molti anni, fino a quando non lo trovò un brutto male che lo fece dimagrire e impallidire.
Ora che il suo destino era segnato, gli altri signori della parrocchia gli dicevano che non si doveva preoccupare perché morire è rinascere a nuova vita.
E il Preoccuparto si spaventò. Nemmeno morire in pace poteva, al pensiero di dover rinascere. Allora si impegnò, guarì, e nessuno, a quel punto, lo biasimò più.

Alla Leo Galleries di Monza

Il Cittadino di Monza, giovedì 7 giugno 2012. Un grazie a Massimiliano Rossin e Sarah Valtolina.

Le mie poesie monzesi


Mercoledì 13 giugno a Monza, ore 18.30 circa, con Giulio Casale e Nicola Magrin. Cronache di incontri illuminanti. Altre info, clicca qui.

"Guerre bianche" al Festival di Poesia di Genova

E all'improvviso uscì il mio primo libro di poesie.



"La resa, questa nuova (e classica?) fiducia nell’abbandono per uscire dal conflitto perenne che noi si chiama vivere, le guerre bianche, nemmeno dichiarate, solo subite, scontate. Magari l’intenzione senza intenzione, magari. [...] Ecco. Un ben denso e quadripartito inizio. Fuor di carriera, e per ora anche di salotti, fossero pure quelli buoni." (dalla prefazione di Giulio Casale)

Guerre bianche (edizioni Liberodiscrivere) farà il suo esordio al Festival Internazionale di Poesia di Genova sabato 9 giugno alle 18.50 presso la Saletta Spazio Autori del cortile maggiore di Palazzo Ducale.

Sono felicissimo che l'accompagnamento musicale sia di Gianfranco De Franco, polistrumentista, musicologo e musicoterapeuta. Ha recentemente pubblicato Cu a capu vasciata, un disco in cui ha raccolto le musiche per gli spettacoli teatrali di Saverio La Ruina.

Provviste # 17 - Sviluppi incontrollati



"Ci sono posti dove non puoi suonare male, che vuol dire suonare senza un senso per farlo, neppure se dai il peggio di te. Sono rarissimi questi posti. Sono contento di averne uno. Almeno uno ce l'ho." (Manuel Agnelli)


Un libro per raccontare 25 anni di Bloom, il locale di Mezzago, provincia milanese, che nel tempo si è guadagnato un posto d'onore tra i migliori crocevia alternativi d'Italia. Concerti memorabili, infiniti iniziative, cinema, libri, rassegne... Dai Nirvana (passati 2 volte) a Dario Fo, il Bloom ha tenuto a battesimo decine di futuri rocker di successo, è stato la culla di gruppi italiani come Afterhours (Manuel Agnelli scrive la prefazione) e Verdena, ha dato voce alle tendenze musicali prima che i più se ne accorgessero.
Il libro, curato da Massimo Pirotta e Aldo Castelli, esce per Vololibero Edizioni. In realtà è un mosaico di contributi regalati da decine di penne (Eleonora Bagarotti, Pierpaolo Capovilla, Cristina Donà, Steve Wynn, Roberta dei Verdena, Matteo Guarnaccia, Enzo Gentile, Luca Frazzi, Barbara Volpi, Mauro Ermanno Giovanardi, Mox Cristadoro e veramente tantissimi altri). Tra le quali, con piacere e onore, anche la mia.

Sviluppi incontrollati lo presentiamo a Spectrum, su www.linearock.it, lunedì 7 maggio alle 12.00 o alle 17.00 e mercoledì 9 negli stessi orari. Ospiti in studio Massimo Pirotta e Claudio Fucci.

La musica poliglotta


Non so quanto possa servire precisare che il reggae non mi piace. Però è quantomeno la verità. Per questo vi parlo di un disco reggae, perché se ve ne parlo nonostante quanto detto, la cosa si fa più interessante. Gli Spasulati sono calabri, nascono nel 1996 e significano "spiantati". Ecco, nel loro essere calabri (terra di cui m'innamoro più volte l'anno) è importante sapere che vengono da Santa Sofia d'Epiro, provincia di Cosenza, paesino di 3 mila anime sdraiato sulle colline tra lo Jonio e la Sila greca, dove si parla questa strana lingua chiamata Arbereshe, ovvero l'albanese antico. Eccolo allora il miracolo: la lingua. La vida è un album reggae/dub suonato con una la spontaneità bella di quando a mediare c'è l'esperienza, ma soprattutto è impastato con le mani, massaggiato, fatto lievitare, dove gli ingredienti linguistici sono l'inglese, l'italiano, il francese, lo spagnolo e l'arbereshe. "Molti studiano come allungare la vita quando invece bisognerebbe allargarla" diceva Luciano De Crescenzo. Bene, qui oltre alla vita si impara ad allargare i confini, le frontiere della parola, e quindi quelle delle braccia e del cuore. Non voglio dire che la contaminazione sia sempre foriera di bellezza. Ma di ossigeno, quasi sempre.

Spasulati, La vida, Mk Records, 2012.

P.s. Nel 2001, in Piazza Duomo, gli Spasulati hanno aperto il concerto di Manu Chao e si sono fatti volere bene da 100 mila persone. Ovvero 33,3 volte tante quelle che abitano a Santa Sofia d'Epiro.

Provviste #16 - La notte inglese


Provviste. Sono quelle che continuo a proporvi di tanto in tanto su queste schermate. Dunque le provviste per permettere alla testa di andare avanti a fare bene il suo lavoro. Le provviste sono i libri. Non torno mai sul luogo del delitto, prediligo le diete variegate, persino sconclusionate: non amo, in definitiva, rileggere quel che ho già letto. Non lo faccio quasi mai. Due anni e mezzo fa, su un treno normalmente lento che da Firenze mi trasportava a Perugia, avevo letto - quando era ancora una bozza - questo romanzo dell'amico Arturo Cattaneo dopo averlo stampato la sera prima. Erano ancora cose nel cassetto, come si dice... Cose preziose, con un futuro, come mi ero prodigato di far presente ad Arturo di ritorno da quella trasferta umbra.
Eccolo ora quel libro, uscito dal cassetto e in bella vista nelle librerie d'Italia, pubblicato da Mondadori. Scelgo di rileggerlo: so per certo che non sarà tutto uguale, sono state aggiunte parti, altrove è stato rivisto. Mi accorgo persino di non ricordare tutto della trama principale, e allora sono curioso e felice di non sapere, di poter andare avanti con lo stesso desiderio della prima volta. Fuori è primavera, in casa non ancora. Dio benedica le pagine tatuate dall'inchiostro! Il piacere di leggere Arturo Cattaneo lo conosce bene. Solo chi ama così tanto la letteratura sa quanto sale mettere quella volta che a cucinare tocca a lui. Ce n'eravamo già accorti - del suo gusto dico - con Ci vediamo a settembre (Sedizioni, 2010). Ora con La notte inglese si sposta dal fuoco caldo e familiare dei ricordi a quello imprevedibile della fiction, il romanzo vero, autentico, della trama cucita e intrecciata con la giusta spontaneità.
Tutto in una notte, dentro i muri spessi di un college inglese, custode di segreti, culti della personalità, cultura sfoggiata, amicizie indistinte, cerimoniali, tradizione. Riccardo, milanese volato a Cambridge per i suoi studi umanistici, viene investito dal vigore destabilizzante della cena di gala, il Society Night Dinner. Una notte tesa, la cui trama convulsa ha in sé qualcosa di iniziatico, di impercettibilmente sacro e sacrilego allo stesso tempo: un ragazzo di vent'anni che scopre di poter amare, di poter vincere le proprie paure, di poter smettere di recitare.
Una storia intima che è primo violino dentro un'orchestra di altre vite, altri linguaggi, altre preferenze in fatto di sesso: il college abbraccia in sé le mille voci di una generazione, cerca di uniformarle attraverso il suo vocabolario, i suoi toni conformistici, le sue regole mai scritte ma comunque inscalfibili... cerca, ma non ci riesce fino in fondo, come se il suo sforzo sortisse l'effetto contrario: accentuare i caratteri, spingerli all'esterno, renderli visibili. Succede in poche ore grazie a un crescere di sherry, vino rosso, porto, super alcolici e alla loro forza disinibente.
Poi, il latte della colazione. "Per gli altri non è cambiato nulla. E per me, cos'è cambiato? Tutto, ovviamente, ma in modo meno esplosivo, eclatante, di quanto avrei mai immaginato" confessa a se stesso Riccardo, da solo di fronte a una fetta di pane imburrato. E io, qui seduto a leggere di lui, ripenso al mattino dopo aver fatto l'amore per la prima volta. Ripenso a tutto quello che c'era stato prima e a tutto quello che c'è stato poi. Riccardo non lo sa ancora, ma a me che chiudo il libro la gola si è strozzata, a little bit.

Arturo Cattaneo, La notte inglese, Mondadori, 2012.

Una frase: Forse però è il destino delle parole, arrivare a labbra diverse da quelle per cui sono state pensate.

Musica a testa bassa


Polistrumentista di strumenti a fiato, musicologo e musicoterapeuta. Gianfranco De Franco ha suonato per tanti e dovunque. Soprattutto in teatro. Ha composto le musiche per "Dissonorata" e "La Borto", i monologhi pluripremiati di Saverio La Ruina. "... cu a capu vasciata a cuntà i petri pi nterra" (con la testa bassa contando le pietre per terra) recita proprio Saverio. E da qui il titolo dell'album di De Franco, Cu a capu vasciata. Le musiche che prima erano discrete, ora diventano protagoniste di un album che qualcuno ha giustamente definito sensoriale. La parola non è sparita, c'è ancora e si inserisce come un racconto tormentato e delicato insieme, una parola che racconta l'anima delle donne, il disagio sociale e la rassegnazione. I recitati tornano sulle figure che quei testi di teatro hanno reso celebri: così la musica si fa narrativa e le parole partitura. Quanta tradizione, quella del clarinetto... e quante cose nuove può ancora descrivere uno strumento così. Gianfranco De Franco propone un disco che sfida a un ascolto partecipato. Se non ci sei dentro, in questo disco, lui non suona.

Gianfranco De Franco, Cu a capu vasciata, Mk Records, 2012.

Giulio Casale è dalla parte del torto

Ospite della puntata n. 38 di Spectrum
LUNEDI' 19 MARZO ALLE 12.00 (e in replica alle 17.00)

GIULIO CASALE PRESENTA IL SUO NUOVO ALBUM
"DALLA PARTE DEL TORTO" (Bollettino Edizioni/Novunque)

« Muovo dalla definitiva consapevolezza di vivere all’inferno, dove tutto è mistificato e mistificante. La mia è resistenza rock, testimonianza di un barlume d’utopia individuale, il mio torto. –racconta l’artista – Un disco di sentimenti contro ogni sentimentalismo. Cantami ma non d’amore, non oggi, non finché siamo nell’inferno ».

In onda su www.linearock.it insieme ad Antonio Oleari

Altre repliche: mercoledì 21 marzo ore 12.00 e 17.00, sabato 24 alle 17.00

Le canzoni e le parole di Luigi Tenco


Non è vero! Non è vero che i cantautori vanno e vengono. I cantautori vanno e basta, vanno nella loro direzione infinita e incomprensibile, che noi possiamo solo intuire, intercettare per poco. Vanno fino ad andarsene per davvero, un giorno, lasciandoci in eredità parole e canzoni che parlino al posto loro...

"Io sono uno" è uno spettacolo di qualche parola e qualche canzone. Suonano e cantano i ragazzi de Il Magnetofono (Alan Bedin, Emanuele Gardin, Marco Penzo); parlano e recitano Antonio Oleari (scrittore), Piergiorgio Piccoli (autore, regista, attore), Franca Grimaldi (attrice, speaker, vocalist). La locandina è di Osvaldo Casanova.

Premio Internazionale di Poesia, Trieste

Una soddisfazione enorme essere scelto tra i 1200 poeti che hanno preso parte all'ottava edizione del Concorso Internazionale di Poesia "Castello di Duino". Tra il 23 e il 25 marzo trascorrerò tre bellissime giornate a Trieste ospite della rassegna.


Il Concorso Internazionale di Poesia Castello di Duino e il Forum Mondiale dei Giovani Diritto di Dialogo fanno parte di un ampio progetto nato dall’entusiasmo e dagli ideali di Gabriella e Ottavio Gruber e lanciato nel 2000 con il nome di “Poesia e Solidarietà Linguaggio dei Popoli”.

L’idea che sta alla base del progetto è che la cura del “linguaggio” sia il veicolo più importante della solidarietà interpersonale, intergenerazionale e interculturale. I linguaggi dell’anima e i linguaggi del pensiero sono in realtà esperienza di cose, quel dare forma a un mondo di relazioni come valori inesauribili nel loro riprodursi.

Il Concorso, riservato ai giovani fino a 30 anni di età, per le sue caratteristiche (gratuità, rapporto con progetti di solidarietà, ampiezza della partecipazione e valutazione dei testi nelle lingue originali: vedi il bando) è stato considerato dalla Commissione Nazionale UNESCO il più importante a livello mondiale rivolto ai giovani ed ha ottenuto adesioni e riconoscimenti importanti a livello nazionale e internazionale; ha l’adesione e la medaglia della Presidenza della Repubblica Italiana, del Principe Della Torre e Tasso del Castello di Duino (Trieste).

In questi anni ha avuto un numero altissimo di partecipanti (circa 7000 da più di 90 paesi del mondo) tanto che ormai possiamo contare su un vero e proprio network di giovani poeti, interessati anche a problemi sociali e umanitari, che promuovono il messaggio di Poesia e Solidarietà in tutto il mondo.


E poi...una bellissima anticipazione
La poesia con cui ho partecipato, Andiamo là, entrerà nel libro che uscirà in primavera: Guerre Bianche.

Provviste #15 - cosa mettere via...


MICHEL Io dico una cosa, la coppia è la prova più terribile che Dio possa infliggerci.
ANNETTE Perfetto.
MICHEL La coppia, e la vita di famiglia.
ANNETTE Non mi sembra il caso di farci condividere le sue opinioni, Michel. Anzi trovo la cosa un pò indecente.

Yasmina Reza, Il dio del massacro, Adelphi, 2011.

Quando lo sguardo cammina

Era marzo di un anno fa, pioveva come oggi, stavo a Cagliari. Scrivevo così, tornando da una camminata su al Castello, con la pioggia di traverso e le folate di vento:

Il vicolo è stretto
e le grondaie, i lampioni, i balconi
gocciolano sui cristiani.
In rosso vernice si legge un patto tra centurioni:
immigrati, salvateci dagli italiani!

(in primavera uscirà il mio primo libro di poesie, Guerre Bianche; quelle che qui trascrivo, sono le povere escluse)

Provviste #14

"Ne ricaviamo una certezza senza spigoli - la chiamiamo fede. Perderla, è cosa che accade. Ma uso un'espressione imprecisa, che allude alla fede come incantesimo, una cosa che non ci riguarda. Non perderò la fede, non la può perdere Bobby. Non l'abbiamo trovata, non possiamo perderla. E' una cosa differente, per nulla magica. Quel che mi viene in mente è il geometrico crollo di un muro - l'istante in cui cede un punto della struttura e tutto collassa. Perché solida è la parete di pietra, ma nel cuore sempre porta un incastro debole, un appoggio malfermo. Nel tempo abbiamo imparato con esattezza dove - la pietra nascosta che ci può tradire".

Alessandro Baricco, Emmaus, Feltrinelli, 2009.

Dovunque ma non

Ora dovremmo figurarci qualcosa che non si può dire. Fa parte dei sogni e dei ricordi. Solo di quelli, credo. Perché il presente è impossibile. E' impossibile trovare il presente nelle poesie. Solo leggerle, sposta il tempo...

Parla a qualcuno

e risponde, è qualcos'altro ma
risponde: nessuno lo perdonerebbe
se ritorna ghiaccio, l'essere identico a sé
che non cammina.

Lui risponde, risponde

E' dentro, deve continuare, in un ritmo
infinito, come una parola
scoperta da altre parole
deve parlare, bagnarsi in un fiume
che non è suo ma lo tiene in vita, e non ha rive.
E in questa strada di campagna
la ragazza si toglie il golf, abbassa il sedile
e non sa se sono in due, in tre, oppure è sola
ma continua, sente l'umido, muove i muscoli

"restami pure dentro"
"sei sicura?"
"sì, ti voglio dentro, ti voglio bene".

Milo De Angelis, Poesie, Mondadori, 2008.

Celentano e la questione del CHI

E qui la questione non è Sanremo. Se guardarlo o non guardarlo, se parlarne o meno, se fare i finti critici obiettivi, commentatori di garbo, o sfociare da subito in quello che tuttavia rimane ancora l'unico quadro lucido, moralmente onesto della questione: "E' tutta una profumatissima merda. Una merda parigina, una merda au de toilette". Magari con l'indispensabile aggiunta di un "(quasi) tutta". Perché personalmente è quel (quasi) che da qualche anno mi fa ancora interessare a Sanremo. Di questo (quasi) fanno parte le canzoni, il chitarrista biondo che inquadrano spessissimo (e se lo merita perché è un drago), il batterista (nell'attesa che prima o poi sbagli una virgola, ma niente) e tutta l'orchestra. Vi garantisco, nonostante l'ormone, che del (quasi) non fanno invece parte seni, scollature, gambe lucide, occhi corvini e capelli lunghissimi. Per quelli non c'è bisogno di pagare il canone, basta procurarsi un allacciamento adsl.

Dicevo: qui la questione non è Sanremo. Il nocciolo non passa dalla temperie snob di milioni di ipocriti, quelli che per garantire un futuro al proprio profilo intellettuale dichiarano che - non essendosi nemmeno informati sulle date del Festival - per sicurezza non girano su Rai 1 per l'intero mese di febbraio. (E qui divagando mi viene in mente che tutto prende avvio il giorno di San Valentino, giusto? E i social network si trasformano in un teatrino pietoso dove ancora ci si allena alla ginnastica snobbistica con cui inneschiamo il solito circolo: a stare zitto non riesco, per cui parlo, e così non faccio altro che amplificare l'oggetto della mia ironia, scherno, critica, offesa, ingiuria).
Qui la questione è Celentano. Qui la merda è Celentano. Adriano Celentano, cantante e attore. Signori, quando una cosa è imbarazzante non dovrebbe nemmeno essere commentata. E difatti non credo che userò molte parole. Il nostro spirito critico andrebbe usato laddove le questioni sono più sottili, fini, liminali. E' quando la freccia sta esattamente sulla riga tra il 9 e il 10 che l'arciere chiede l'intervento dell'arbitro, così il tennista su una palla al limite. E' quando un falso è fatto così bene da sembrare un originale che si chiama l'esperto in autenticazioni, non quando la falsificazione è evidente e conclamata. Per questo qui non si discuterà sul perché l'intervento di Adriano Celentano durante la prima serata del Festival della Canzone Italiana sia assolutamente fuori luogo. Posso solo accennare che lo è stato dal punto di vista dei contenuti ma anche sotto il profilo televisivo, telegenico, teatrale, musicale. Lo è stato nei movimenti, nelle pause, nella gestione attoriale. Brutto, ecco. Usiamo le parole come andrebbero usate. Brutto. Passato. Lontano. E leggermente pietoso (grazie anche al cammeo della signorina Canalis).
Dicevo però che non bisogna discutere sul perché. Il perché è troppo evidente. Bisogna discutere su CHI deve indignarsi delle parole di Celentano. Chi lo deve fare pubblicamente. E per pubblicamente intendo sui giornali ma anche dal parrucchiere, su facebook e twitter, a scuola e davanti alle telecamere. La questione del CHI.
Vedete, il sentimento anti-cattolico in Italia credo abbia radici profonde. Ma ormai bisogna ammettere che è arrivato a dei livelli francamente indisponenti. Non è così, non è con queste parole che si possono risolvere tutti i (tanti) lati oscuri che la Chiesa innegabilmente ha. Così si rafforza solo la controparte, che al contrario reagirà chiudendosi a testuggine, sfogando poi il proprio eccesso di difesa in posizioni massimaliste che io da queste stesse pagine ho più volte denunciato (si veda la querelle Castellucci e i post a proposito del suo spettacolo teatrale, oppure le mie piccole inchieste sul mondo marcio di Comunione e Liberazione).
Ecco la questione del CHI. Troppo facile stare a guardare e ascoltare le reazioni di chi è stato attaccato. Non la Chiesa, non la stampa cattolica, non I PRETI (come li definisce sprezzantemente Celentano in un eccesso di qualunquismo da far rabbrividire - e mi riferisco al momento in cui cerca la telecamera giusta per parlarci direttamente, con I PRETI) devono urlare che Celentano ha esagerato. Lo dobbiamo fare noi che in chiesa non ci andiamo e che contro la chiesa abbiamo speso fin troppe parole maligne. Lo facciano gli addetti alla cultura, lo facciano anche i radical chic, se vogliono. OBIETTIVITA'. Uscire dagli schieramenti. E invece no, non succede. Su internet leggo commenti contro Celentano solo da chi mi aspettavo. E dall'altra parte lodi sperticate, ancora da chi mi aspettavo lo facesse. I primi vanno in chiesa, i secondi no. Quanta stanchezza, quanta arretratezza nei soliti atteggiamenti dell'Uomo.
Celentano parla con una retorica chilometrica, fa della demagogia spicciola. Critica l'estrema politicizzazione del clero e poi cita Don Gallo, persona che apprezzo e stimo (fa parte della "mia" Genova, quella che salvo dall'estinzione) ma che è innegabile, di politica ne ha fatta tanta (quindi - badate - giudico l'incoerenza, non il concetto). Menziona i dipendenti FS che protestano alla Stazione Centrale di Milano, ma lo fa dall'alto dei suoi 300 mila euro di compenso a serata (che solo DOPO - e sottolineo DOPO - tutte le polemiche si sono miracolosamente tramutati in faraonici fondi di beneficenza; Adriano, però... almeno tieni qualcosa per te, pagati le spese d'albergo!). Ecco CHI deve prendersela con lui: proprio quei dipendenti che hanno perso il lavoro! Sono loro che devono scandalizzarsi invece di gioire, come sono certo avranno fatto, per essere stati menzionati in diretta Tv davanti a 11 milioni di persone. Il sistema, ecco. Il potere del sistema.

E poi le mani. Tagliate le mani a chi applaudiva dalle poltroncine rosse dell'Ariston, con la pelliccia che aspettava impaziente nel guardaroba. E però peccato... peccato applaudissero anche le mani degli orchestrali.

Sentieri Notturni

Emozioni nella notte, su sentieri ghiacciati sciolti dalla musica e non dal sale. Con Sergio Mancinelli, sui suoi "Sentieri Notturni" in onda ogni notte alle 00.00 su Radio Capital, la voce di Demetrio Stratos è tornata a cantare. Ma non solo. Le onde portano anche alla Grecia presente nel sangue di Cat Stevens e all'Irlanda di Rory Gallagher.

E per me il piacere di tornare a parlare di un libro scritto due anni fa, quasi tre, e che volente o nolente mi ha tenuto stretto a una delle voci più grandi di sempre...

Riascolta "Sentieri Notturni" del 8/2/2012 cliccando qui.


Stratos


Martedì 7 febbraio, ore 00.00, Radio Capital (o www.capital.it). Avrò il piacere di essere ospite telefonico all'interno dei Sentieri Notturni dell'amico Sergio Mancinelli. Insieme torneremo ad aprire le pagine di Demetrio Stratos, gioia e rivoluzione di una voce a due anni di distanza dalla sua uscita. Un ricordo notturno per Demetrio, unito alle canzoni più belle della sua prima parte di carriera.

La puntata sarà riascoltabile già dal giorno dopo all'indirizzo: http://www.capital.it/capital/radio/programmi/Sentieri-Notturni/3727371

Provviste #13


"E allora quale è mai la ragione per cui lo amo? Semplicemente perché è maschio, credo. Sotto sotto è un essere buono e per questo lo amo, ma lo amerei anche se non lo fosse. Se mi picchiasse, se mi maltrattasse, io continuerei ad amarlo. Lo so. E' questione di sesso, credo".

Mark Twain, Il diario di Eva, Feltrinelli, 2009.

La Sicilia qui

Nella vita hanno successo i graniti. Quei solidi pezzi di granito sicuri di sé, delle proprio idee, dei gusti che sfoggiano, della musica che fanno ascoltare, della loro famiglia e dei paesi che hanno visitato. S'era detto che solo gli stupidi non cambiano mai idea. Ma chi ha pronunciato queste parole ha fatto una brutta fine.
Io sono come quella pasta fucsia poco più molle del didò, quella cosa maleodorante su cui da piccolo decine di dentisti mi hanno chiesto di lasciare il calco delle mie arcate dentali. Se qualcosa mi morde, io assumo la sua forma.
Non voglio più scrivere. Voglio solo fare il teatro. Il teatro vince, sopra il cinema, sopra un quadro, sopra il più bello dei libri. Mi convinco di questo, in macchina, dopo aver visto Antropolaroid. Il mattino dopo già non me lo ricordo, però i segni sono lì, i segni dei denti, la cagnata. Tornerò...
E torno a vederlo. Ripenso quelle cose. Le scorderò ancora. Eppure ci sono tornato, e ci tornerei ancora se questo non sancisse il mio ricovero in un'ospedale psichiatrico o una denuncia per stalking.

Cosa ci fa la Sicilia qui a Milano? Qui dove il termometro sta a -4, la neve è ghiacciata, le strade deserte? E i campi di grano, lo zibibbo, i tavoli dove si gioca a carte, i cimiteri, i grandi balli, le fisarmoniche?
Come facciamo a capire, a capirci, quando la lingua è diversa e il secolo pure?

Miracoli del teatro. Ovvero aprire un vecchio baule di fotografie, toccarle, chiedere "mamma, e questo signore coi baffi chi era?". E' quello che deve aver fatto Tindaro Granata nello scrivere, mettere in scena e recitare Antropolaroid. Al Teatro dell'Elfo di Milano fino a domenica 5 febbraio. Un regalo che vi potreste benissimo fare. E se, come probabile, vi dovessero dire che i posti sono esauriti, voi non credeteci e insistete. Chiedete una sedia, un cuscino, un foglio di giornale per pararvi il sedere dai pavimenti bagnati dei giorni di neve. Ma vedete di esserci. Fatevi guardare in faccia.

Qui, info e spiegazioni meno deliranti sullo spettacolo: http://www.elfo.org/stagioni/20112012/antropolaroid.html

Provviste #12

"Non pensi a quello che deve fare, non rifletta sull'esecuzione" mi gridava. "Il colpo fila liscio solo se sorprende il tiratore stesso. Deve essere come se la corda tagliasse improvvisamente il pollice che la trattiene. Lei non deve dunque aprire la mano destra con intenzione!"

Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l'arco, Adelphi, 1975

Integralesimo

["Attaccami, ho bisogno di difendermi"]

Tutto nasce da uno spettacolo, Sul concetto di volto nel figlio di Dio. Il regista, Romeo Castellucci, lo ha portato in giro per molti paesi del Mondo, suscitando ovunque dibattiti, giuste riflessioni, opportune quanto inevitabili tendenze allo schierarsi. E' questo lo scopo che ogni forma d'arte contemporanea dovrebbe prefiggersi. Ora lo spettacolo arriva in Italia, a Milano, una produzione del teatro Parenti. E' qui, sul suolo di Santa Romana Chiesa, che arrivano i problemi. Gli integralisti cattolici (mi domando come possano convivere, nel 2012, le parole integralismo e cattolicesimo) minacciano di bloccare lo spettacolo, minacciano di morte il regista, dicono che lanceranno merda sul teatro e sulle persone che ci entreranno per vedere lo spettacolo. Altre frange più moderate organizzano manifestazioni pacifiche o annunciano di ricorrere a specifiche messe di riparazione (!!!).
Ora, la faccenda non è così marginale. Queste persone, così tanto coinvolte e toccate dalla vicenda Castellucci, sono le stesse che, su più ampia scala, costituiscono un esteso movimento interno alla Chiesa Cattolica fortemente incentrato su forme di restaurazione liturgica e sulla strenua difesa della tradizione (il revival della messa in latino rientra proprio in questo clima pre-conciliare). Si stanno formando personalità sempre più coinvolte, sul piano emotivo, dalla difesa della religione cristiana da qualsiasi forma di attacco, ideologico oppure concreto, esterno. Ecco che allora non sorprenderà trovare sul web siti come Militia Christi, Pontifex, Messa in Latino, Fondazione Lepanto solo per citarne alcuni.
Uno dei momenti maggiormente contestati dello spettacolo di Castellucci sarebbe la scena in cui un gruppo di bambini scaglierebbe, contro l'immagine del volto di Cristo proiettata sullo sfondo, degli escrementi. In realtà il regista ha tenuto a precisare che non si tratta di escrementi ma di bombe a mano. E aggiunge per di più che - ancora prima del clamore suscitato dal dibattito mediatico - era stata concordata con la direzione del teatro milanese l'eliminazione della scena per problemi di spazio scenico e di reperimento dei trenta giovani attori. Ma, al di là di tutto, ci tengo a segnalarvi la lettera di spiegazioni dello stesso Castellucci, una personalità (lo scoprirete leggendo) così ricca di cultura e sensibilità (non lo conosco, ma giudico dalle sue parole) da sembrare addirittura inopportuna di fronte alle persone stolte, ai poteri intangibili, alle idee distorte a cui suo malgrado deve replicare. Ecco qui la lettera.
Non dovrebbero servire spiegazioni. L'arte non va spiegata. E io mi sento in imbarazzo di fronte alle parole banali che sto scrivendo, qui, adesso, nel gennaio del 2012, a difesa dell'espressione artistica. Ho paura quando mi accorgo del bisogno che certe persone hanno di reagire. Vedete, per reagire occorre essere attaccati. E se nessuno vuole farlo, occorre che tu stesso trovi la maniera di accendere la miccia. Quante guerre sono nate così... Attaccami, picchiami, così io poi posso spararti. Ora è Castellucci, ieri era Cattelan, domani non lo so. Ma è tutto ridicolo, perchè in contemporanea a questi episodi di cui stiamo parlando, in tutto il mondo, c'è qualcuno che sta ragionando, provocando, facendo arte, poesia, letteratura con l'idea, l'immagine, il volto di Dio. Il miglior stratega sa che le forze non vanno disperse. Castellucci, questa volta tocca a te.
Non ho paura dei nomi altisonanti, inquisitori e medievalizzanti dei siti che sopra vi ho linkato. Non ho paura dei grandi spettri cattolici che oscurano il sole con i loro interessi (soliti nomi? CL, Opus Dei, lefebreviani). Non ho paura di chi dice la messa in latino, non ho paura di chi ascolta la messa in latino. Ho paura di chi queste cose le potrebbe fermare e non lo fa.
Mi ricordo quando andavo all'oratorio feriale. Ero un bambino. Anch'io avevo la mia squadra. Il capitano avrà avuto 13, massimo 14 anni. Eppure io lo vedevo come un adulto, uno dei grandi. Era forte in tutti i giochi e io ne avevo una stima infinita. Se mi diceva di fare una cosa, io la facevo. Un giorno mi beccò picchiare un avversario che aveva insultato la nostra squadra, e mi disse pochissime parole che mi fecero sentire un verme.
I capitani a cui mi riferisco sono vestiti di viola, di rosso, uno anche di bianco. Ma non dicono niente, niente di esplicito. Non condannano. Anzi, sostengono. Che paura che ho, adesso sì...

Epilogo:
Ho regalato ai miei genitori due biglietti per lo spettacolo. Sapete, spero che, all'entrata del teatro, arrivi sulla loro faccia qualche schizzo di merda. Forse solo così capiranno di quali pensieri e azioni sono capaci quelle persone che dicono di condividere le stesse panche della chiesa, le loro stesse preghiere, il loro stesso Dio.

Epilogo #2:
Scrivendo ho trovato la risposta. Integralismo e cattolicesimo, purtroppo, possono convivere. Ne nasce un mostro chiamato INTEGRALESIMO.

Tempus (re)fugit!

Mentre a Genova, sul mare, passa un'ora, all'Aquila, 700 metri più in alto, passa un'ora e un milionesimo di secondo.
Mi chiedi insistentemente dove ti porterei in vacanza per l'estate. All'Aquila, è lì che ti porterei. Perché l'ho letta sul giornale questa storia della relatività del tempo, ed è da ieri che non faccio altro che pensare a come guadagnare un milionesimo di secondo all'ora. Oppure due, se campeggiassimo in cima al Monte San Primo, di fronte al lago di Como.
Dobbiamo guadagnare, cara. Guadagnare tempo. Ti guardo e mi dico che non c'è tempo da perdere. Già lo sento il suono, la vibrazione delle corde vocali, il profumo delle parole che saremo costretti a dirci quando ci accorgeremo che il tempo insieme, purtroppo, sarà già volato.
Benissimo, che voli. Ma noi andremo a vivere all'Aquila, dove guadagneremo 24 milionesimi di secondo al giorno. Ventiquattro milionesimi di secondo in più da passare insieme. Ci pensi?

Ma poi arrivano questi moderni scienziati. Arriva questo DeWitt con la sua fisica quantistica. Lo sai tesoro cos'è la fisica quantistica? No? Nemmeno io. Senti qui: "... l'altra scoperta fondamentale della fisica del Novecento: la natura quantistica, cioè granulare e probabilistica, della materia e della radiazione".
Lo sai cosa dicono questi? Che il tempo non esiste. Vado avanti, ascolta: "Per sapere l'ora, cioè misurare il tempo, possiamo guardare la posizione del sole nel cielo. Per avere più precisione, guardiamo un orologio. La posizione delle lancette del mio orologio indicano che il tempo è passato. Ma come faccio a sapere se il mio orologio misura davvero il tempo "vero"? Beh, lo posso controllare con l'ora esatta diramata da un centro ufficiale. Ma come faccio a sapere se quell'orologio misura il tempo "vero"? Lo confronto con un altro orologio ancora... E' chiaro che c'è un problema. Tutto quello che noi osserviamo sono lancette di orologi, oggetti che si muovono, la posizione del Sole nel cielo... Non vediamo mai "il vero tempo". Solo oggetti che si muovono".
Oddio. "E Newton scriveva che l'esistenza di una variabile tempo è solo un'ipotesi, che mette ordine nelle nostre osservazioni sui movimenti degli oggetti. Osserviamo dove si trova un oggetto quando un altro è in un certo luogo. Ma ciò che osserviamo sono solo posizioni di oggetti, non il tempo in sé".

Il tempo non esiste. Forse è davvero così, amore mio. Inutili le vacanze, inutile andare fino all'Aquila. Proporrei il giardino, una sdraio, del tè freddo. Osserveremo da qui, dal posto in cui abbiamo passato ogni agosto, l'immobilità in cui viviamo.

Epilogo:
Lei, scrutando con attenzione il lento e annoiato spostamento dell'oggetto-marito-in-infradito verso l'oggetto-sdraio, si sentì profondamente arresa. E pensò una cosa. Quel movimento così odioso ed inetto forse non indicava il tempo in sé, ma era la scientifica, inconfutabile prova di dieci anni buttati nel cesso.

Incontro

Palazzolo Milanese, forse. E il primo freddo di gennaio, le scritte sui muri delle stazioni che dicono sempre amore. Le labbra, le cuffie color amarena, gli occhi e il trucco. Il cappuccio prima di scendere dal treno. La rivedo? La rivedo sempre.

Nell'aria fresca d'odore
di calce per nuove case,
un attimo: e più non resta
del tuo transito breve
in me che quella fiamma
di lino - quell'istantaneo
battito delle ciglia,
e il panico del tuo sorpreso
- nero, lucido - sguardo.

E' così che la speranza rimane appesa a qualche verso di Caproni...

Io sto nel Mucchio

Capita che un nuovo anno porti con sé richieste d'aiuto, messaggi s.o.s., bengala sparati in alto per farsi salvare. Scrivo per il Mucchio da meno di un anno. Con l'aiuto di John Vignola ho creato una sorta di rubrica (Musica&Vene), qualcosa di terapeutico innanzitutto per me, un imbuto dentro cui drenare il mio obbligarmi a scrivere, avere scadenze, prendere la voglia di raccontare storie, inventare, s-banalizzare gli eventi. Musica e vene, le vene narrative. Si capisce?
Ricordo perfettamente la lettera di un lettore che, evidentemente pungolato dal mio primo racconto, aveva scritto alla redazione definendomi incompetente. Consigliava di fare più attenzione, di non dare spazio a certi cialtroni. Lettera puntualmente pubblicata nel numero seguente. Ero felicissimo...
Prima compravo la rivista ogni tanto. Da quando ci scrivo la compro tutti i mesi. Credo si chiami civetteria, oppure semplicemente necessità. Necessità di scoprire se il tuo racconto è uscito per davvero. E poi la necessità di leggere altro, imparare la creatività di altre penne, altre menti più esperte e ispirate della mia. Oggi mi sono reso conto che questa rivista ha bisogno di aiuto. Così ho sottoscritto l'abbonamento annuale al Mucchio. Sono giorni di tanto parlare. Una querelle attanaglia forum e social network: il Mucchio chiude? Per colpa di chi? Da qualche mese i lettori si dividono tra sostenitori del precedente direttore (Max Stefani) e l'attuale (Daniela Federico). Il primo non l'ho mai conosciuto. Eppure qui parla la pelle, e a pelle mi dico... Con la seconda ci siamo scritti parole gentili e di stima. Non voglio entrare in un'arena in cui ho già visto (e letto) episodi di bassa chiacchiera, annebbiamento, interesse personale, beatificazioni, populismo. Semplicemente decido - potrei fare altrimenti? - di stare dalla parte di chi mi ha dato fiducia. Solo quella. Niente denaro, nemmeno copie gratuite. Mi basta quella. La fiducia, e un disinteressato apprezzamento. Per il resto il Mucchio lo compro, anzi, mi ci sono appena abbonato. E se volete aiutare una rivista così, fatelo anche voi.


P.s.: per par condicio, scrivo anche per Jam. SOStengo anche questa rivista. Come tutte le riviste - per cui scrivo e per cui non scrivo - che diffondono cultura e musica. Altro che quelle cose lì.