Celentano e la questione del CHI

E qui la questione non è Sanremo. Se guardarlo o non guardarlo, se parlarne o meno, se fare i finti critici obiettivi, commentatori di garbo, o sfociare da subito in quello che tuttavia rimane ancora l'unico quadro lucido, moralmente onesto della questione: "E' tutta una profumatissima merda. Una merda parigina, una merda au de toilette". Magari con l'indispensabile aggiunta di un "(quasi) tutta". Perché personalmente è quel (quasi) che da qualche anno mi fa ancora interessare a Sanremo. Di questo (quasi) fanno parte le canzoni, il chitarrista biondo che inquadrano spessissimo (e se lo merita perché è un drago), il batterista (nell'attesa che prima o poi sbagli una virgola, ma niente) e tutta l'orchestra. Vi garantisco, nonostante l'ormone, che del (quasi) non fanno invece parte seni, scollature, gambe lucide, occhi corvini e capelli lunghissimi. Per quelli non c'è bisogno di pagare il canone, basta procurarsi un allacciamento adsl.

Dicevo: qui la questione non è Sanremo. Il nocciolo non passa dalla temperie snob di milioni di ipocriti, quelli che per garantire un futuro al proprio profilo intellettuale dichiarano che - non essendosi nemmeno informati sulle date del Festival - per sicurezza non girano su Rai 1 per l'intero mese di febbraio. (E qui divagando mi viene in mente che tutto prende avvio il giorno di San Valentino, giusto? E i social network si trasformano in un teatrino pietoso dove ancora ci si allena alla ginnastica snobbistica con cui inneschiamo il solito circolo: a stare zitto non riesco, per cui parlo, e così non faccio altro che amplificare l'oggetto della mia ironia, scherno, critica, offesa, ingiuria).
Qui la questione è Celentano. Qui la merda è Celentano. Adriano Celentano, cantante e attore. Signori, quando una cosa è imbarazzante non dovrebbe nemmeno essere commentata. E difatti non credo che userò molte parole. Il nostro spirito critico andrebbe usato laddove le questioni sono più sottili, fini, liminali. E' quando la freccia sta esattamente sulla riga tra il 9 e il 10 che l'arciere chiede l'intervento dell'arbitro, così il tennista su una palla al limite. E' quando un falso è fatto così bene da sembrare un originale che si chiama l'esperto in autenticazioni, non quando la falsificazione è evidente e conclamata. Per questo qui non si discuterà sul perché l'intervento di Adriano Celentano durante la prima serata del Festival della Canzone Italiana sia assolutamente fuori luogo. Posso solo accennare che lo è stato dal punto di vista dei contenuti ma anche sotto il profilo televisivo, telegenico, teatrale, musicale. Lo è stato nei movimenti, nelle pause, nella gestione attoriale. Brutto, ecco. Usiamo le parole come andrebbero usate. Brutto. Passato. Lontano. E leggermente pietoso (grazie anche al cammeo della signorina Canalis).
Dicevo però che non bisogna discutere sul perché. Il perché è troppo evidente. Bisogna discutere su CHI deve indignarsi delle parole di Celentano. Chi lo deve fare pubblicamente. E per pubblicamente intendo sui giornali ma anche dal parrucchiere, su facebook e twitter, a scuola e davanti alle telecamere. La questione del CHI.
Vedete, il sentimento anti-cattolico in Italia credo abbia radici profonde. Ma ormai bisogna ammettere che è arrivato a dei livelli francamente indisponenti. Non è così, non è con queste parole che si possono risolvere tutti i (tanti) lati oscuri che la Chiesa innegabilmente ha. Così si rafforza solo la controparte, che al contrario reagirà chiudendosi a testuggine, sfogando poi il proprio eccesso di difesa in posizioni massimaliste che io da queste stesse pagine ho più volte denunciato (si veda la querelle Castellucci e i post a proposito del suo spettacolo teatrale, oppure le mie piccole inchieste sul mondo marcio di Comunione e Liberazione).
Ecco la questione del CHI. Troppo facile stare a guardare e ascoltare le reazioni di chi è stato attaccato. Non la Chiesa, non la stampa cattolica, non I PRETI (come li definisce sprezzantemente Celentano in un eccesso di qualunquismo da far rabbrividire - e mi riferisco al momento in cui cerca la telecamera giusta per parlarci direttamente, con I PRETI) devono urlare che Celentano ha esagerato. Lo dobbiamo fare noi che in chiesa non ci andiamo e che contro la chiesa abbiamo speso fin troppe parole maligne. Lo facciano gli addetti alla cultura, lo facciano anche i radical chic, se vogliono. OBIETTIVITA'. Uscire dagli schieramenti. E invece no, non succede. Su internet leggo commenti contro Celentano solo da chi mi aspettavo. E dall'altra parte lodi sperticate, ancora da chi mi aspettavo lo facesse. I primi vanno in chiesa, i secondi no. Quanta stanchezza, quanta arretratezza nei soliti atteggiamenti dell'Uomo.
Celentano parla con una retorica chilometrica, fa della demagogia spicciola. Critica l'estrema politicizzazione del clero e poi cita Don Gallo, persona che apprezzo e stimo (fa parte della "mia" Genova, quella che salvo dall'estinzione) ma che è innegabile, di politica ne ha fatta tanta (quindi - badate - giudico l'incoerenza, non il concetto). Menziona i dipendenti FS che protestano alla Stazione Centrale di Milano, ma lo fa dall'alto dei suoi 300 mila euro di compenso a serata (che solo DOPO - e sottolineo DOPO - tutte le polemiche si sono miracolosamente tramutati in faraonici fondi di beneficenza; Adriano, però... almeno tieni qualcosa per te, pagati le spese d'albergo!). Ecco CHI deve prendersela con lui: proprio quei dipendenti che hanno perso il lavoro! Sono loro che devono scandalizzarsi invece di gioire, come sono certo avranno fatto, per essere stati menzionati in diretta Tv davanti a 11 milioni di persone. Il sistema, ecco. Il potere del sistema.

E poi le mani. Tagliate le mani a chi applaudiva dalle poltroncine rosse dell'Ariston, con la pelliccia che aspettava impaziente nel guardaroba. E però peccato... peccato applaudissero anche le mani degli orchestrali.

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