Dicembre, natale

7 dicembre 2012.

Eccola. Prima neve. Il piccolo prodigio che accade proprio qui, dove abito.

Siamo rintanati in cucina, i caloriferi sono spenti e la casa piano piano si raffredda come un corpo morto, diventa stretta, rimpicciolisce, è ridotta a una sola cucina, qui, dove ci siamo rifugiati. Il piano terra è immobile nel gelo, non ci andiamo più. E' una piccola scomodità che abbraccio, poiché mi è concesso il privilegio di provare qualcosa che è passato oramai: un dicembre nevoso, il giorno di Sant'Ambrogio, il freddo nelle case, le preoccupazioni. Che privilegio saprebbero essere, le preoccupazioni, se ci fosse anche il silenzio...

L'ho vista da lontano, come un fumo che scende dalle montagne. L'orizzonte si fa opaco, l'aria carica. Qualcuno laggiù l'avrà già scritto, l'avrà detto al compagno, che nevica.

Io l'ho detto a mia madre. Siamo soli, lei ed io, qui. Prima le ho fatto un massaggio, mentre ancora era seduta a tavola. Sentivo le spalline del suo reggipetto e mi è venuto da pensare a tutte le donne, alle loro spalle, con quel segno sulla pelle, il solco del ferretto, il disegno del pizzo. Fardello di sempre, il seno, peso di una maternità che è di tutte. Ogni donna, indistintamente, vive la preoccupazione di essere madre. Ce l'ha sul petto. Anche lei, a cui non riesco a credere.

I fiocchi non cadono, risalgono con la corrente, sono come foglie che la terra non è pronta ad accogliere.

Da questa finestra sono il tuo loggionista, pianura che mi stai sotto. Il tuo spettacolo - alberi che piano piano cadono, antenne che s'alzano insieme ai condomini, monti che imbiancano da lontano - non mi è mai costato nulla, se non il rimanere.

Natale che ha un peso, il destino di arrivare. 

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