Un sacro disordine

Targu Neamt, regione della Moldavia, nord est della Romania. E' un inizio d'anno gelido, il cielo è quasi sempre coperto, la luce dura poche ore. Da Bucarest sono risalito fino alla città di Iasi per ritrovare una persona che non vedevo da quando ero piccolo. L'ho trovata, come se il tempo non fosse passato per nulla. Insieme abbiamo mangiato una fetta di panettone e ci siamo parlati a lungo mentre fuori dalla finestra, lontano a ovest, il manto di nubi finiva  e il cielo accennava un tramonto. 
Sulla strada del ritorno un cartello segnala un monastero. Ci sono cartelli così in tutta la Romania: è probabile siano sorti più monasteri qui che in tutto il resto dell'est Europa. Quello di Targu Neamt non è certamente il più bello: giorni prima, nella regione della Bucovina al confine con l'Ucraina, Voronet si è presentato ai miei occhi come una meraviglia che forse non sarò mai in grado di spiegare. A Targu Neamt, però, mi sono imbattutto in un posto davvero bizzarro.
La struttura del monastero rispetta la tradizione: forti mura perimetrali, un grande spiazzo interno con al centro l'antica chiesa le cui pareti interne non hanno un centimetro di intonaco che non sia affrescato. Monaci con lunghi e pesanti soprabiti neri escono dalle loro stanze, attraversano lo spiazzo bianco di neve e ci si infilano dentro. I suoni sono ovattati: scarponi che scricchiolano sulla neve fresca, cani in lontananza, una mamma che sgrida una bambina. Tante famiglie approfittano delle vacanze di Natale per visitare i luoghi di una fede che in Romania resta, al contrario che altrove, forte e salda.
La sorpresa per me arriva una volta uscito dal monastero. Nel piazzale esterno, oltre le poche auto parcheggiate, c'è una struttura circolare con un'alta cupola sovrastante. Parrebbe un battistero o una cose dal genere, invece da lontano, sopra la porta d'ingresso, leggo la scritta "libreria". Quando entro non ci voglio credere. Sotto una volta finemente affrescata c'è tutto. Ossia: tutto. Un bazar in piena regola, senza il minimo concetto di ordine. Migliaia di libri accatastati, icone, crocifissi ma anche cassette di frutta e verdura, martelli, caramelle, un frigorifero con i gelati, quadri, pacchetti di patatine, rullini fotografici, bibite, scarpe, attrezzi da lavoro. Torno a guardare il soffitto per qualche secondo, poi riabbasso gli occhi: è ancora tutto lì. Un prete barbuto e con indosso un maglione liso si aggira in questo marasma con la stessa compostezza di un custode del Louvre. Cerco di toccare tutto, pesco libri a caso: biografie di monaci, spiritualità, storia nazionale. Più in là: paramenti sacri e abiti comuni. Me ne vado senza la minima idea del luogo e della sua funzione. Una cosa è certa: quelle figure angeliche in alto, quel casino in basso, una metafora del cosmo di cui ho trattenuto un vago senso di sacro.





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