Parlano, i chilometri

Posto anche qui quanto ho scritto per il sito web "Medinforma" riguardo al mio viaggio. Sono pensieri sparsi, come sempre, quelli che ti saltano fuori quando c'è qualcuno che te li chiede...

La mia grande Italia su una piccola Vespa

Quando dopo 4.000 km ho imboccato la mia via delle Colline tutto mi sembrava identico a come l’avevo lasciato. Evidentemente i chilometri cambiano le persone, più che i paesaggi. Per quelli ci vuole il tempo, che di solito viaggia più lentamente dei chilometri. La casa era vuota, caldissima, si respirava a fatica. Sapevo in quale cassetto avrei trovato il tricolore, l’ho appeso alla porta d’ingresso esattamente alle spalle della Vespa, ho impostato l’autoscatto e mi sono fatto l’ultima foto della vacanza: il giro d’Italia, così, nella mia solitudine anche all’arrivo, era davvero completo. La doccia poi. Tiepida e lunghissima. Mi sembrava lavasse via una scorza di polvere e vento, olio motore, benzina, salsedine, neve (ho trovato anche quella sulle dolomiti) che in tre settimane di viaggio la mia pelle aveva accumulato. Facevo i conti: 15 regioni attraversate, 43 provincie (me le sono segnate tutte prima che spariscano dalla cartina), 200 litri di benzina verde, 2 chili d’olio a due tempi, tre candele, un incidente, un piccolo furto subito, e centinaia di occhi da mettere in fila insieme alle strette di mano, le storie raccontate, le confidenze fatte proprio a te, che sei un viaggiatore, e dunque i segreti ti si possono dire perché tanto non conosci le persone interessate, e poi domani mattina già non ci sarai più, sarai sopra un’altra strada, in un’altra regione, al mare o in collina. Ricordo ancora la prima persona che mi ha rivolto la parola dopo essere partito da casa, il mattino presto di giovedì 4 agosto: il custode di un piccolissimo cimitero in Emilia dove mi ero voluto fermare a salutare un amico che riposa lì. Si era stupito di come la mia Vespa fosse organizzat a e caricata con criterio. Chiese dove stessi andando, e fu lì che iniziai la mia lunga sfilza di bugie: in Toscana, risposi. In Toscana avrei risposto Roma, a Roma avrei detto Campania, in Campania iniziai a dire la verità: Palermo. Non mi andava di scoprire da subito i miei piani, come in una forma di scaramanzia che si dice a mente “iniziamo ad andare fin lì, poi vediamo…”, come se non volessi attirare troppa attenzione dicendo tutta la strada che dovevo fare, oppure semplicemente non volevo farmi dare dell’imprudente ogni volta, e quindi accorciavo il tiro. Le ultime persone, invece, sono stati due amici. Andrea e Giorgio, anche loro in moto, incontrati a qualche centinaia di metri dal cartello Meda. Tornavano dalle Dolomiti, anch’io venivo da lì, lungo un’ultima tappa che mi portava da San Vigilio di Marebbe (Brunico) a Meda, 380 km e quasi dieci ore di sella.

Sulle Dolomiti ero arrivato da Napoli, per un itinerario di ritorno assolutamente non previsto. Dopo i 2.000 km fino a Palermo il mio viaggio avrebbe voluto proseguire in nave fino a Cagliari, per poi risalire la Sardegna lungo la costa ovest raggiungendo Porto Torres e da lì tornare a Genova. Ma i traghetti tra la Sicilia e la Sardegna sembrano rari anche in pieno agosto, e per paura di rimanere troppi giorni giù dalla sella ho scelto di risalire l’Italia dall’altro lato dello stivale. Da Napoli all’Aquila, dall’Aquila a Pesaro, da Pesaro e Vicenza, da Vicenza a Brunico dove mi aspettavano quei due biondi teppisti dei mie nipotini. Un ritorno inaspettato e bellissimo tra la natura del Sannio, del Matese in Molise, degli altipiani d’Abruzzo, le colline umbre, così diverse da quelle marchigiane, la mondanità romagnola, i campi di grano del ferrarese, le verdi colline vicentine, il Piave risalito verso Belluno, e poi lo spettacolo delle Dolomiti, il Passo Falzarego vicino a Cortina su cui arrivo con spiegata al vento la bandiera gialla e rossa della Trincacria a ribadire il concetto che l’Italia, io, me la sono fatta tutta. La gente guarda allibita, inizia a chiedere se può scattarti una foto, chiama gli amici a vedere “da dove arriva questo ragazzo”, domandano tutto, anche se la Vespa è truccata.

No, la mia Vespa non era truccata. Era truccato il mio animo, così lontano da quello che una volta avrebbe accettato una rilassante vacanza sopra spiagge di sabbia fine e locali notturni. Ho dovuto dargli retta, inseguirlo fino alla fine, il mio animo. Era come un’ombra sfuggente, che anche nella più deserta pianura sapeva dove nascondersi. Eppure a momenti, con la coda dell’occhio, quando attraversavo le vie di qualche città, lo vedevo riflesso nelle vetrine dei negozi. Aveva un casco giapponese bianco e rosso, la linea goffa, il sedere grosso, ma le spalle larghe. E non so se era la giacca a vento della moto o l’essere diventato un po’ più grande…

Voglio ringraziare tutti gli amici che hanno (in)seguito nei modi più vari il mio viaggio. Spero di avervi portato un po’ in sella, anche solo per qualche chilometro, ed essere riuscito a farvi assaporare il vento in faccia. La libertà.

3 commenti:

Francesco Marelli ha detto...

Ciao Antonio! Ho saputo solo ora del tuo viaggio...E devo ammettere che a leggere queste poche righe mi sono venuti i brividi. Complimenti per il corraggio e l'entusiasmo che riesci sempre a trasmettere in quello che fai! Spero di vederti presto, hai ancora molte cose da insegnarmi. Un abbraccio,
Francesco Marelli

Antonio Oleari ha detto...

Grazie Francesco! Sono contento che queste parole ti siano piaciute... sono poca cosa. E soprattutto le parole sono comode, mentre la sella e i chilometri sono faticosi. Un abbraccio a te, a presto!

Lorenzo Franchini ha detto...

Quando un'ottima penna sale in Vespa non possono che uscirne belle pagine.