"Tutta la dignità del mondo" - Piccola lettera a Brittany Maynard

Cara Brittany,

e così è arrivata la reprimenda del Vaticano... Non sto nemmeno a chiederti se la cosa ti stupisca o meno: di certo, quando hai deciso di fare quello che hai fatto, sapevi che qualche questione di morale l'avresti sollevata. Con sincerità devo rivelarti di non essermi molto interessato alla tua vicenda. Ho avuto notizia della tua morte scorrendo velocemente un quotidiano on-line, e a quel punto mi sono fatto bastare titolo e prime righe dell'articolo. Poi, quando ieri ho sentito alla radio che un monsignore ti aveva sgridata, in un primo momento ho pensato che evidentemente qualcuno avesse perso l'ennesima buona occasione per fare un po' di silenzio. Ero lì lì per cambiare stazione, ma poi ho voluto ascoltare fino in fondo. Credo di aver fatto bene, perché tutto sommato la questione non è poi così banale, e alla fine mi sono venute in mente delle cose che vorrei dirti.
Monsignor Carrasco de Paula dice di non voler condannare la tua persona, ma il tuo gesto. "Il suicidio assistito", afferma, "è un'assurdità". Sbaglia, evidentemente. Come si può definire assurdo un comportamento così naturale e umano come il tentativo di non soffrire e di non far soffrire i propri cari? Io però voglio fare un passo oltre. E per farlo mi affido ancora una volta al peso delle parole. 
Non ho nessun dubbio sulla bontà della tua persona né su quella del tuo gesto. Metto in discussione invece la forma. Rivendichi il diritto di poter "morire con dignità", ma così sembra che chi invece sceglie di affrontare il proprio male fino in fondo di dignità non ne abbia. Dai l'idea che una fine dolorosa sia una fine indegna. Naturalmente so bene che non la pensi esattamente in questa maniera, è una forzatura - mi verrebbe da dire - "mediatica", ma così vanno le cose al giorno d'oggi: basta un virgolettato di quelli sbagliati e il messaggio che ne esce va dove vuole lui. Per questo non mi piace l'idea che potrebbe generarsi dalle tue parole (E lo dico qui per inciso: di parole ne hai dette di bellissime prima di morire, hai avuto pensieri di pace a affetto nei confronti della vita, della natura e delle persone a te care, hai una grande sensibilità, credimi, ho letto la tua storia, i tuoi viaggi intorno al mondo, però tutto questo io lo so perché ho scelto, in un secondo momento, di conoscerti meglio; se non mi fossi spinto qualche click più in là, ora come ora sarei ancora fermo a quella tua dichiarazione, e conserverei di te un'immagine parziale).
Bene, adesso ti dico cosa penso riguardo a questa faccenda della dignità. Io credo che sia degno di noi in quanto donne e uomini del pianeta Terra tutto ciò che è intrinsecamente e totalmente umano. La sofferenza è parte integrante della nostra natura, e chi sceglie di non privarsene accetta di essere uomo fino in fondo. Gesù Cristo è uomo fino in fondo solo quando va incontro con coscienza a tutti i suoi travagli. Qui stanno le basi di un credo religioso che dura da circa 2 mila anni, per questo mi pare normale che dal Vaticano vengano a dirti quelle cose. Io li capisco, per l'amor del cielo. E devo anche precisare il perché forse hanno così a cuore la questione della sofferenza: senza passare da essa Gesù non sarebbe mai potuto risorgere, e quindi elevarsi alla sua natura divina. Così anche noi non possiamo aspirare a Dio senza accettare il nostro cammino di dolore. Non risorgiamo, se non soffriamo. 
Ma niente teologia, altrimenti rischiamo di uscire fuori strada. Certo è che qui non è solo una questione di etica cattolica. Proprio ieri chiedevo ai miei ragazzi di seconda ragioneria quale fosse il loro personaggio preferito tra quelli studiati l'anno scorso in epica: quasi tutti hanno risposto Ulisse per il fascino e lo spirito d'avventura, Alessandro invece dall'ultima fila ha alzato le braccia come in un coro da stadio e stringendo i pugni ha urlato "Achille!", mentre in un angolino Andrea, col suo solito fare svogliato, ha buttato lì un "Ettore...". Stupito, gli ho chiesto perché. E lui mi ha risposto: "Perché è più umano". Infatti. Se ci penso, è proprio difficile non sentirsi vicini a quell'eroe che va incontro al suo destino conoscendolo fin troppo bene, saluta la moglie e il figlio per andare a morire davanti al suo nemico, lo affronta di petto, senza fuggire. Verrà così trafitto, lacerato, il suo corpo sarà trascinato attorno alla città di Troia, conoscerà la più profonda delle umiliazioni. Ecco, io credo che Ettore sia uno dei più grandi esempi di dignità. Egli è lo sconfitto, il più umanamente debole, e proprio per questo totalmente eroe. 
Torniamo a te, Brittany. Questo significa che adesso sei tu quella che manca di dignità? No, affatto. Credo tu abbia scelto di fare quello che, conoscendomi, farei anch'io. La paura di soffrire mi spingerebbe a cercare nei progressi dell'uomo (scienza, medicina, ricerca) la via più semplice per andarmene. In questo modo nessuno mi vedrebbe deforme, diverso, sofferente, incosciente, privo delle mie facoltà. Me ne andrei ancora bello in volto, in piedi. Come Achille, in fin dei conti: una punturina di freccia sul tallone, zàc, e via. Nessuno strepito, niente sangue. Ma è anche vero che ad Achille è concesso morire così perché semi-dio: forse anche l'uomo moderno è figlio di una divinità, la Scienza. Ma mi rendo conto che da qui si aprono altre strade di riflessione che richiederebbero tempo e competenze che non ho.
Mi basta richiamare l'attenzione sui nostri i due estremi: Ettore e Achille. Uno è forse meglio dell'altro? Penso di no. I Greci, che avevano già capito tutto, non giudicano il primo come non giudicano il secondo. Sanno che cercare di non soffrire è tanto umano quanto scegliere di soffrire. Non c'è una morte più dignitosa dell'altra. Solo diversi tipi di dignità: quella del cuore ("accetto il mio destino, lo affronto in tutte le sue conseguenze") e la dignità della ragione ("ho la maniera di non soffrire, perché non usarla?"). Ricordo a te Brittany, e a tutti quelli che leggono, che l'uomo è fatto tanto di cuore quanto di ragione. E di mezzo c'è spazio solo per la compassione nei confronti dei nostri destini terreni. Qualcosa che solo Dio, o gli dei, conoscono fino in fondo. 
Ma prima di parlare a nome loro, prima di sentenziare, restiamo uniti.

Che la terra ti sia lieve, Brittany. Riposa in pace.



1 commenti:

stebilla ha detto...

Grazie, Antonio. Dal profondo del cuore e dall'ultimo angolo della ragione.