Il teatro

E pensare che potevi esserci anche tu. Ci avevo pensato, sai, di invitarti a teatro questa domenica. Mi ero detto così: magari le scrivo per sapere se le piace il teatro, e se le piace le dico che c'è questo spettacolo qui, che un mio amico ci ha fatto le musiche e che magari potremmo andarci insieme. Ma poi ho commesso una serie di errori tra cui quello di provare a venire in quel locale pieno così di gente e con la scusa di bere qualcosa poterti guardare e magari parlare. Però il locale era un po' troppo pieno e allora succede che io in quelle situazioni non mi senta tanto bene così sono stato zitto, mi sono fatto largo in quella bolgia che urlava sopra quel pezzo di Jovanotti e sono uscito a cercare una fettina d'aria da respirare. Avevo un po' di quella vecchia paura, quella di stare male in un posto pieno di gente e non sapere che fare. Poi mentre ero lì che fumavo in un angolino ho visto uscire una persona che conosco bene per essere stato il suo professore (non stiamo qui a discutere del fatto che professori e studenti capitino nella stessa discoteca, altrimenti non finiamo più). Era appena svenuta, il suo ragazzo e uno dei buttafuori la reggevano e alla fine sono venuti proprio dove ero io. Dopo un po' si è ripresa, così le ho fatto compagnia cercando di tranquillizzarla mentre il suo ragazzo andava a prendere le giacche, e intanto che lei guardava nel vuoto io come un pirla le chiedevo su cosa avrebbe fatto la tesina di maturità, ma intanto pensavo: cazzo potevo essere io, e invece è toccato a lei. E' toccato a lei che non ha bevuto nulla, mentre io, se proprio dobbiamo metterla sul bere, sono già avanti di due coca e jack.
Cinque minuti dopo ho chiesto ai miei amici se anche noi per piacere ce ne potevamo andare, e mentre mi accendevo l'ennesima sigaretta mi ricordavo perfettamente di quella giacchetta rossa che portavi perché alla fine ti ho vista e ti sono stato davanti un minuto buono senza dire una parola. E mi vergognavo un po' di tutto, voglio dire, della mia età, del posto in cui ero appena stato, di quello che mi era venuto al cuore. E niente, ci mancava anche di scriverti così dal nulla per invitarti a teatro. Chissà cosa te ne frega a te del teatro.
Ci sono andato da solo. Tra l'altro mi è toccato anche pagare due biglietti: il ragazzo dietro al vetro diceva che la mia prenotazione era per due e che ne dovevo pagare due. Sì, ma io sono da solo, gli ho detto. Fa niente, ormai ne ho stampati due. Eh ma magari qualcuno non trova posto e non può entrare mentre io ne ho uno in più, gli ho fatto notare. Mi spiace, non li cambiamo, e non se la prenda con noi, ha detto. No, non me la prendo con voi però cosa faccio adesso, mi metto fuori a fare il bagarino? Veda lei, mi ha risposto, basta che non lo fa qua, e ha indicato l'ingresso del teatro tutto pieno di gente in fila che mi guardava male e si lamentava. Alla fine sono entrato con quei due biglietti e allora ho pensato: vedi, è un po' come se ci fossi anche tu, t'è capitato il posto proprio accanto al mio. E avrei voluto che quel posto rimanesse libero libero perché c'eri tu lì con me, ma poi la signora seduta davanti si è voltata, ha visto che non c'era nessuno al mio fianco e mi ha chiesto se per favore poggiavo il suo paltò verde proprio lì, dove potevi esserci tu. 
Poi è venuto buio, le voci sono scomparse e per cinque secondi tutto era nero. Ho pensato ancora a quella cosa lì, a quella che mi viene quando non deve, e infatti lei è arrivata puntuale quando gli attori in scena parlavano sopra a un tappeto di clarinetto. Guardavo la camicetta di seta gialla che portava lei, così composta nei gesti, e tentavo di convincermi che è pur sempre meglio un cuore che batte all'impazzata piuttosto che uno che non batte per nulla. Ma non serviva, e allora continuavo a graffiarmi i palmi delle mani. All'improvviso un urlo ha squarciato la sala, un uomo seduto al centro si era sentito male, se ne stava rigido con l'occhio vitreo e dava scosse con le gambe e con la braccia. Sua moglie urlava come se fosse già morto quando le luci si sono accese e delle persone sono corse in quella direzione ripetendo un medico, un medico, chiamatelo subito. Io avrei voluto fare qualcosa e stavo anche per muovermi ma poi ho sentito quella solita frase che si dice sempre, tipo largo, fategli spazio, lasciate fare, e dunque sono rimasto dov'ero mica di dare fastidio. Ho anche pensato che per la seconda volta in poche ore avevo passato il mio male a qualcun altro: prima la ragazza in discoteca, poi questo signore in platea. Possibile? mi chiedevo. 
Ho guardato i due attori, immobili sulla scena, mi sono detto che tutto si era rotto, che erano piombati all'improvviso nel mondo reale, anche la camicetta gialla di lei era tornata ad essere una camicetta qualunque, nei loro occhi tutte le preoccupazioni per una storia d'amore malata avevano lasciato il posto alle preoccupazioni per una persona vera, che esiste davvero. A un certo punto hanno persino varcato la soglia invalicabile, quella del palco, quella sacra, e sono venuti in mezzo a noi, hanno seguito quell'uomo fin sul portone della sala mentre i signori dell'ambulanza lo portavano via, per fortuna cosciente. Sono trascorsi minuti, le luci restavano accese, poi hanno detto che si ricominciava, di mettersi ognuno al suo posto, io mi sono voltato e il paltò verde era ancora lì. Allora mi sono detto che era stata una fortuna non aver avuto il coraggio di invitarti a teatro. Ecco sì, che forse sei proprio fortunata a non conoscermi. Porto una sfiga tremenda. Anche se io vorrei dirti un'altra cosa, vorrei convincerti che se stai con me tutte le cose brutte succedono agli altri.



Post scriptum: ogni riferimento a persone o a fatti realmente accaduti è puramente casuale, forse. E tu sei tu, oppure chiunque, oppure nessuno. Mettetevi d'accordo e poi mi fate sapere.


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