Su tre lati argentini #4 (Tucuman-Tafì)

Fuori dall'aeroporto di Tucuman ci sono le stelle e una grande pianura buia. Il volo da Buenos Aires è atterrato in orario, le famiglie con il passeggino, qualche signora abbronzata e due anziani se ne vanno in pochi minuti. Poi resta il silenzio e una vecchia Ford marrone chiaro. La portiera cigola, un uomo si offre di condurci in città.
Le prime luci sono avvolte dalla nebbia. Deve essere all'incirca mezzanotte e l'aria un poco più calda rispetto alla capitale. Dal finestrino scorgo altri segni di povertà: un carro, un cavallo e una famiglia sopra. Sono case basse di mattoni, bar aperti fino a tardi e ragazzi che fumano. Ogni tanto qualcuno attraversa il vialone con superbia e sprezzo del pericolo. 
Lentamente la città prende forma insieme alle insegne di un Casinò e di qualche hotel, lo Sheraton per esempio. Ma si sente che non sono veri. La città è più brutta, di notte persino minacciosa. Nel nostro albergo ci sono luci basse. Assisto al viavai di ragazzine truccate vestite succinte: in una sala dei sotterranei dev'essere in corso una festa. E' sabato sera tardi, passano solo donne, ma a dire il vero sono bambine. 
La mattina non sappiamo che fare, dove andare. La signorina al bancone consiglia Tafì del Valle, un posto bello, con il lago, loro se possono ci vanno nei week end estivi. Allora trasciniamo gli zaini fino alla stazione degli autobus: di giorno la città è ancora più brutta. Cammino sperando che qualcosa all'improvviso cambi, che questa o quella via ci facciano sbucare in una bella piazza con una bella chiesa o un palazzo o qualcosa, ma nulla. Il nostro percorso è fatto apposta perché di San Miguel de Tucuman noi possiamo portarci via una brutta impressione. Eppure è qui che nel 1816 è nata la Repubblica Argentina, è qui che fu costruito il primo palazzo del Congresso. Dov'è? Il parco 9 de Julio rende assai poco onore a quella storica data. Sono grandi prati spelacchiati sopra cui si gioca a pallone. Gli alberi spogli, la basura, l'immondizia un po' ovunque. Mi dico che la Gloria e la Storia qui ci mettono piede solamente d'estate.

Non ricordo cosa mi disse quel vecchio dalle grandi rughe che incontrai alla stazione degli autobus di Tucuman. Diceva di avere origini spagnole e di essere stato in Italia così tanto tempo fa. Faceva il marinaio. E mi parlò di oro, lingotti d'oro, credo. Ma non riesco ad andare oltre. Mi fece così con la mano mentre salivo sul pullman. Prima mi aveva persino baciato.
Uscire dalla città fu una cosa lentissima, ricordo un intero paese bloccato per via del mercato. Poi prendemmo finalmente velocità e i campi di canna da zucchero si fecero sentire ai nostri nasi prima ancora di comparire davanti ai nostri occhi. Mi addormentai. Al mio risveglio l'autobus si stava inerpicando su per alcuni stretti tornanti: era un paesaggio di montagna come quelli che già conoscevo. Legni secchi, prati, alpeggi di pietra. Ma tutto mutò rapidamente: ancora qualche tornante e venne la foresta sub-tropicale. L'aria umida scaldata dal sole, i vapori, la vegetazione opprimente. La montagna era un muro. Poi i tornanti sparirono: era l'altipiano di erba gialla, macchie di neve, le vette della precordigliera. Un deserto a 2.500 metri. 
Dissi per la prima volta che mai avevo visto roba simile. Il lago artificiale era uno specchio di luce grigia nell'enorme conca della valle. L'autobus si fermò a El Mollar, sulle sue sponde. Poi proseguì fino a Tafì del Valle, il sole batteva forte e l'aria restava fredda e pungente. Trovammo da dormire in una estancia al bordo del paesino, nel giardino un gruppo di lama restava immobile nella luce. Sentivo nascere in me la frenesia del cuore che ancora collego istintivamente a quelle montagne. La parola "Ande" ha per me una sola traduzione: "ciò che non si può contenere".
Quella sera, mentre fuori la temperatura precipitava sotto lo zero, mentre le braci di qualche parilla si smorzavano lentamente sotto le stelle, scrivevo queste cose davanti al computer nella sala da pranzo del nostro rifugio:

Qui Tafi' del Valle, 2000 metri, sulla celebre Ruta 40 che dalla Bolivia scende fino alla Terra del Fuoco passando anche da Bariloche. Scrivo che e' notte e la temperatura scende sotto lo zero. Non c'e' nulla, se non le stelle che non ho mai visto, un lago, le montagne intorno. Non c'e' nemmeno il programma dei giorni che verranno, santo cielo quanta strada. Pero' c'e' quella solita frenesia di andare macinare vedere esserci e vivere le cose lontane. C'e' la paura di essere fuori tempo, fuori luogo, fuori tutto. E ci sono le nostre prime foglie di coca, comprate per 15 pesos in un negozio indio. C'e' anche da inseguire il Re del Mondo, che ci tiene prigioniero il cuore. Lo trovero', se non qui, altrove.

Il mattino seguenti avrei visto solo il rosa di un'alba fredda. Il crinale dei monti ghiacciato, la nebbia sul lago. Il suono delle mie Nike sopra il prato duro coperto di brina.
In quel momento pensai all'uomo che il pomeriggio prima ci aveva fatto fare avanti e indietro dal lago per 150 pesos. Viaggiava su una Fiat Uno e masticava foglie di coca. Le sue mani, le sue unghie. Adesso era ancora lì, alla stazione. 700 pesos, per Cafayate. 


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