
Prima scena: Cindy non vuole essere svegliata da suo marito Dean e dalla figlioletta Frankie, si alza a fatica, prepara i fiocchi d'avena, rimprovera Dean di comportarsi come un bambino ma si dimentica la cartella della piccola quando è già in macchina per portarla a scuola.
In un attimo gli amori si trasformano nel loro opposto, in quel qualcosa di così sottile che c'era già dall'inizio, senza farsi vedere. Dean aveva fatto il bambino anche quella volta in cui Cindy l'aveva presentato ai suoi, si era messo a ridere per il buffo cognome della sua professoressa di biologia.
Blue Valentine, dunque, è la cronaca dell'attimo che separa inizio e fine, come se l'amore non avesse fasi intermedie, velocità di crociera, ma solo decolli e atterraggi. Inizio. Fine. Ti tengo stretta la mano. La ritiro appena me la sfiori, in auto, mentre stiamo viaggiando verso un motel in cui abbiamo deciso di ubriacarci e fare l'amore.
In una storia così è vano anche il tentativo, comprensibilmente umano, di trovare il colpevole. Un amore che naufraga in questo modo non ha quasi mai capitani che l'abbiano mandato a fondo. Qualcuno di noi è stato Dean, qualcun'altro Cindy. Non c'è chi abbia colpa. Questo è quello che fa di questo film (distribuito in Italia male e con due anni di ritardo) una storia triste. Il canone di tutte le storie che abbiamo sentito (o alla peggio vissuto) a proposito dell'amore perduto che strappa i capelli.
0 commenti:
Posta un commento